Lettere al Corriere della Sera 11 maggio
Caro Aldo, rispondendo a una lettrice, lei scrive che per decenni, dopo il 1948, la parola patria divenne impronunciabile e il tricolore fu confinato nelle caserme e negli stadi di calcio in cui giocava la Nazionale. Ciampi ha «ridispiegato» la bandiera riproponendola con l’inno di Mameli. Ma la parola patria fatica a uscire dalla bocca di tanti di noi. Forse la associamo alle guerre. Forse perché se ne era abusato. Forse abbiamo intelligentemente deciso di non nominare mai più il nome della patria invano. Forse la consideriamo come la «summa» di tutte le espressioni retoriche. Ma penso ai giovani per i quali è una parola morta. Nessuno di loro la pronuncia. Ma ci sarà qualcuno che almeno la pensa? Alessandro Prandi
Caro Alessandro, Non penso che per i giovani la parola patria sia morta. Semmai, è la storia, e con essa la memoria, a essere morte per loro. A scuola lo studio della storia comincia in terza elementare, a nove anni: un po’ tardi. Per un anno si studia l’uomo primitivo. Si arriva faticosamente ai romani alla fine della quinta. Le guerre mondiali del Novecento dovrebbero essere nel programma di terza media, ma non sempre ci si arriva. Questo significa che la gran parte dei giovani italiani non ha mai sentito parlare della Grande Guerra (che infatti confondono con il secondo conflitto mondiale), della Resistenza (infatti molti pensano che avessero ragione i «ragazzi di Salò», definizione assolutoria e simpatetica), della Ricostruzione, del miracolo economico. Non sanno cioè che siamo stati povera gente, che eravamo un Paese contadino, che i nostri padri hanno rimesso in piedi un’Italia umiliata e distrutta. E pensano di essere la prima generazione a dover soffrire; mentre sono infinitamente più ricchi della gran parte delle generazioni precedenti. Su Google possono trovare di tutto; ma spesso non sanno dove cercarlo. E poi in rete vengono rassicurati sul fatto che l’ignoranza sia una virtù. Quanto alla patria, resto convinto che gli italiani (giovani compresi) siano più legati all’Italia di quel che pensano; soprattutto quando la storia nazionale incrocia quella delle nostre famiglie. Di Cadorna ci importa poco, dei nostri nonni moltissimo; e non è detto sia un male. Aldo Cazzullo