Paolo Peluffo
Il Sole 24 ore domenica 18 gennaio 2015
Leggere le pagine, fresche e nitide, del diario* scritto sul fronte italiano dal 1915 al 1918 da George Macaulay Trevelyan è un esercizio che desta meraviglia e stupore negli italiani di oggi. La prima causa di meraviglia è l’ammirazione di Trevelyan per gli italiani.
Un’ammirazione senza limiti, frutto non di fascinazione momentanea ma di uno studio di anni su un popolo che viene descritto come guidato da una classe dirigente colta, educata, moderna, intrisa di ideali rivoluzionari e progressisti. A quarant’anni, il grande storico inglese nato a Stratford-upon-Evon, figlio di un baronetto di tradizione “Whig”, aveva già scritto la sua trilogia su Garibaldi e avrebbe potuto rimanersene comodamente a insegnare nella aule riscaldate di Cambridge, essendo stato giudicato inabile al servizio militare per problemi alla vista. E invece, desiderava talmente partecipare all’ultimo atto del Risorgimento italiano, da convincere il ministero della Guerra britannico a inviarlo in Italia con una unità di ambulanze motorizzate che furono impiegate attivamente dal primo all’ultimo giorno di guerra, in prima linea.
La meraviglia cresce, perché Trevelyan trova conferme concrete pagina dopo pagina per il proprio giudizio positivo .
La prima caratteristica degli italiani al fronte del 1915-1918 appare la loro organizzazione ingegneristica, quasi da antichi romani. Le capacità dell’arma del Genio appaiono superiori agli altri eserciti. Trevelyan assiste alla costruzione di strade che portano automobili fino alle vette alpine, come la strada delle trentadue gallerie sul Pasubio; vede ogni vetta riempirsi in poche ore di migliaia di fili delle teleferiche, e poi pompe idrauliche, uomini che scavano una rete di strade, in pochi giorni. Appena conquistato il Sabotino, in pochi giorni viene traforato e riempito di cannoni in alta quota. La gigantesca e sanguinosa battaglia che porta alla conquista del massiccio della Bainsizza viene fermata proprio dalla scarsità di strade costruite dagli austriaci sul loro fronte. L’offensiva di Caporetto viene favorita dalle strade e dalle magnifiche ferrovie
La seconda caratteristica alla quale Trevelyan allude è la scarsa capacità di comunicazione. Con i suoi uomini lui, lo storico cresciuto al Trinity College di Cambridge, è testimone oculare delle sanguinose battaglie per la conquista del monte Sabotino, di Gorizia, dei boschi di Oslavia, dell’offensiva della Bainsizza, della battaglia del Solstizio sul Piave, combattute con coraggio da leoni da soldati-contadini. Ma a Londra e Parigi si pensò che quello italiano fosse un fronte tranquillo, in fondo secondario. E così si continua a pensare anche oggi, cento anno dopo. Trevelyan, cerca di spiegare ai suoi compatrioti che senza l’enorme sforzo italiano, l’ostinazione, la pianificazione italiana, il fronte occidentale avrebbe ceduto; la Russia sarebbe caduta un anno prima. Ma gli italiani, con la comunicazione non ci seppero fare, e dovettero attendere la Croce Rossa Americana nel 1917 per sviluppare campagne di propaganda interna per motivare e dare fiducia alla popolazione dopo Caporetto.
Desta stupore nel lettore di oggi, vedere uno storico di primo piano come Trevelyan, certo non facile strumento per la propaganda, avvalorare in pieno la tesi del generale Cadorna sullo sciopero dei soldati a Caporetto: soldati reclutati tra gli operai delle fabbriche di proiettili torinesi che avevano partecipato ai moti pacifisti dell’agosto 1917. Ma in ciò, opera la tenace volontà di non rinunciare a idealizzare l’Italia del Risorgimento. In fondo, Trevelyan vede all’opera quegli ideali nel popolo che nel maggio del 1915 impediva, scendendo in piazza, il tentativo giolittiano di tenere l’Italia fuori dalla guerra.
Idealismo contro materialismo, scrive il nostro narratore che in ciò tradisce non solo la sua partigianeria italofila, ma anche la consapevolezza, oggi perduta, che senza l’Italia gli alleati avrebbero perduto la guerra già nel 1916! In quei giorni, torbidi e oscuri, che precedono il 24 maggio, al Teatro Costanzi a Roma, riconoscendo Ricciotti Garibaldi, gli spettatori si alzarono in piedi cantando l’Inno di Garibaldi. Evidentemente, lo conoscevano ancora.
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George Macaulay Trevelyan, SCENE DELLA GUERRA D’ITALIA, Edizioni di storia e letteratura, Roma, pag.192, Euro 24,00