Winston Churchill
Quali sono le conseguenze di una guerra perduta? C’è, ovviamente, prima di tutto, il dramma che vivono gli sconfitti («guai ai vinti»). Ma c’è anche la drastica perdita di credibilità, e quindi di prestigio, delle potenze che avevano sostenuto e aiutato la parte perdente nella guerra. Nel mondo degli Stati, perdere credibilità e prestigio significa perdere potere a favore delle potenze concorrenti. Le cose non vanno bene in nessuna delle due guerre in cui gli occidentali sono coinvolti, in Ucraina e in Medio Oriente. Nel caso dell’Ucraina (la guerra dimenticata dal mondo dell’informazione dopo il 7 ottobre), Putin ha ottime ragioni per gioire: sul campo gli ucraini sono bloccati e il sostegno occidentale, come del resto Putin aveva previsto, vacilla. Basta poco: la superiorità militare russa (più combattenti, più armamenti) potrebbe presto assicurargli la vittoria. Gli basterebbe decidere — magari dopo le elezioni in Russia — una tregua d’armi (che gli occidentali si affretterebbero ad accettare con gioia sulla testa degli ucraini) allo scopo di riprendere fiato. E poi riaprire le ostilità (per la conquista di Kiev) dopo poco tempo contro una nazione ucraina a quel punto demoralizzata.
In Medio Oriente, si può dire che Israele — che ben difficilmente riuscirà a spazzare via definitivamente Hamas da Gaza — ha già perso su un terreno cruciale: quello della propaganda. Non c’è confronto fra la capacità dimostrata da Hamas e dal suo sponsor iraniano rispetto a quella di Israele nel calamitare le simpatie dell’opinione pubblica internazionale. Dalla parte di Hamas e dell’Iran stanno non solo le grandi potenze autoritarie, Cina e Russia, l’opinione pubblica del mondo islamico, nonché tutti i Paesi che identificano Israele con l’odiato Occidente. C’è anche una parte non irrilevante dello stesso Occidente. Il fatto è che il 7 ottobre, distruggendo il mito della invincibilità di Israele, ha fatto capire a tanti che quello Stato potrebbe essere prima o poi annientato. Gli israeliani sono ebrei e sono alleati dell’Occidente. Il che ha generato la saldatura delle due correnti dell’antisemitismo, mai scomparso (e che sogna una seconda Shoah), e dell’anti occidentalismo. La posizione delle Nazioni Unite sul conflitto riflette l’orientamento maggioritario dell’opinione pubblica internazionale. Non importa sapere se il Sudafrica si è mosso autonomamente oppure ispirato da Cina e Russia (sono tutti e tre membri dei Brics) ma aver portato Israele sul banco degli imputati all’Aia con l’accusa di genocidio è una mossa propagandistica di elevato valore politico per la causa dei tanti che vogliono colpire non solo Israele ma l’intero Occidente. In tutte e due le guerre ove, in modo diverso, sia l’Ucraina sia Israele lottano per la sopravvivenza, non è la loro determinazione che, in prima istanza, può venire meno. Ciò che può venir meno è il sostegno occidentale. Cosa che può avvenire perché l’Occidente crede sempre meno in se stesso e nelle proprie ragioni. Basti pensare a quanto accade nel Mar Rosso ove gli Houthi (gli yemeniti sostenuti dall’Iran) stanno colpendo una delle arterie vitali del commercio internazionale. Gli europei continentali, i cui interessi sono direttamente in gioco, lasciano per ora ai soli americani (e agli inglesi) il compito di usare le armi per rintuzzare la minaccia.
Non sappiamo se Donald Trump vincerà o meno le elezioni americane a fine anno, ma il fatto stesso che siano elevate le probabilità che ciò avvenga, ci dice quanto sia ormai grave la malattia occidentale. Una vittoria di Trump avrebbe conseguenze in tutto il mondo ma limitiamoci a considerare i presumibili effetti sull’America da un lato e sull’Europa dall’altro. Per quanto riguarda l’America, benché la democrazia americana continui a disporre di formidabili anticorpi, certo Trump, come del resto sostiene apertamente, tenterebbe di imporre un giro di vite autoritario. Ci riuscirebbe? Non ci riuscirebbe? Non lo sappiamo. Ma sappiamo quali sarebbero le conseguenze internazionali: perdita di vitalità della Nato, vittoria russa in Ucraina, Moldavia e baltici nel mirino di Putin, l’estrema destra (filorussa) rafforzata e in crescita in tutti i Paesi europei. Con un effetto paradossale per la stessa America: smantellando, o comunque indebolendo, l’ordine internazionale a guida americana creato alla fine della Seconda guerra mondiale, l’America segherebbe il ramo su cui è sempre stata seduta. Ossia, ne deriverebbe un’accelerazione del declino della potenza americana nel mondo. A tutto vantaggio delle grandi potenze autoritarie. Altro che «America first». E quando, in seguito, lo stesso Trump o il suo successore tentassero di rimediare, sarebbe ormai troppo tardi per riuscirci.
Come si preparano gli europei per una simile eventualità? Non hanno né la forza né lo spirito per fare alcunché. Gli europei fischiettano. I più informati si limitano a fare gli scongiuri. Potrebbe venir meno la protezione americana (Trump dice: europei, sbrigatevela da soli). La sicurezza dell’Europa sarebbe, per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, davvero a rischio. Ma nessun leader europeo sta cercando di preparare l’opinione pubblica al fatto che l’Europa, con effetti sulla vita quotidiana degli europei (basti pensare alle conseguenze politiche di uno spostamento di risorse dal welfare alla sicurezza), potrebbe essere chiamata da un giorno all’altro, a trovarsi nella necessità di «sbrigarsela da sola». Una eventualità per la quale l’Europa (come ha osservato Ernesto Galli della Loggia, Corriere del 17 gennaio) è oggi del tutto impreparata.
Fingere che il problema non esista o rinviare a un futuro indefinito il momento in cui si dovrà prenderlo di petto, significa preparare la strada per future sconfitte. Nell’eventualità di una vittoria di Trump, l’unico modo per dimostrare all’opinione pubblica europea che le ricette proposte dall’estrema destra filo-putiniana sono pericolose per la sicurezza dell’Europa, sarebbe quella di indicare, fin da subito, la via alternativa. Tra non molto l’Europa potrebbe trovarsi di fronte al caos dovuto a una guerra perduta (Ucraina), con Israele ancora sotto il fuoco concentrico di tutti i suoi nemici, una perdita secca di credibilità e prestigio dell’Occidente, la fine della protezione americana. Non si vedono ancora in giro i Churchill o i Cavour che all’Europa sarebbero a quel punto necessari.
Angelo Panebianco Corriere della Sera 20 gennaio 2024
Antonio Ciseri Ritratto di Camillo Benso di Cavour 1859