…A rendere l’attuale visione del Mediterraneo un ulteriore oltraggio alla sua storia civilizzatrice si aggiunge il ricordo di un’istituzione essenzialmente greca preclassica e classica qual è la celebre filoxenia, vale a dire “ospitalità” (da Xenos, che indicava sia l’ospite che lo straniero), in forza della quale chi vedeva giungere alla sua casa uno sconosciuto era tenuto ad accoglierlo, soddisfacendo le sue prime necessità: un bagno caldo ristoratore, del cibo, vesti pulite… Solo successivamente il padrone di casa si informava sull’identità dell’ospite e le ragioni del suo viaggio…Eva Cantarella, L’antica civiltà del Mare Nostrum, Il Sole 24 ore domenica 24 marzo 2019
Eva Cantarella, nota storica dell’antichità e del diritto antico, in un recente articolo del Domenicale del Sole 24 ore afferma che il mare Mediterraneo (il Mare Nostrum dei Romani quando dominavano il mondo) anticamente, a differenza di oggi, era stato un luogo di civilizzazione. Infatti, come mezzo di scambi commerciali e culturali tra le popolazioni costiere, diverse per lingua, costumi, religioni ed etnie, aveva favorito nel tempo un processo di integrazione o almeno di reciproco rispetto tra le genti del Mediterraneo.
Il Mare Nostrum oggi è il mare dei naufragi e un cimitero di migranti. Quello che stiamo vivendo è certamente uno dei periodi più drammatici della sua millenaria storia, che però non è mai stata senza conflitti. L’idilliaca visione di un mare di incontri di culture e di pacifico scambio suona piuttosto artificiosa se si rilegge la storia. Fin da quella più antica. I conflitti nel Mediterraneo orientale ci sono noti dall’Iliade, da Erodoto, da Senofonte, da Demostene; i conflitti nel Mediterraneo occidentale soprattutto da Polibio. Per esempio l’insediamento dei Greci sulle coste italiane dello Jonio e del Tirreno fu il risultato di una violenta colonizzazione di quelle terre; nel 474 a.C. la battaglia di Cuma fu un cruento scontro navale tra la flotta dei Siracusani e quella etrusca e con questa vittoria i Sicelioti posero fine all’espansione etrusca nell’Italia ellenica; come d’altronde le guerre puniche furono le tre guerre combattute fra Roma e Cartagine tra il III secolo e II secolo a.C., che si risolsero con la totale supremazia di Roma sul mare Mediterraneo.
In un tempo di guerre e di brevi periodi di pace non è storicamente corretto fare un confronto, come nell’articolo di Eva Cantarella, tra la civiltà antica della filoxenia, e il respingimento attuale dei migranti sulle coste europee del Mare Nostrum, non tenendo in alcun conto le differenze di status e di ragioni che muovono migliaia di uomini dalle coste africane soprattutto verso l’Italia.
Tra l’altro anche nella Grecia antica migrazioni come quelle delle genti doriche provenienti dal nord dell’Europa nel XII secolo a.C. non furono accolte civilmente dai popoli del Peloponneso, anzi furono una delle cause della fine di Micene e della sua civiltà.
Pertanto se oggi è sacrosanto dare soccorso e ospitalità a chi naufraga sulle nostre coste, quando poi si deve rispondere alla drammatica richiesta di asilo politico e di lavoro di tantissimi migranti la questione è più complessa e non si può certo ricorrere senz’altro all’istituzione della filoxenia antica, né tantomeno il problema può essere affrontato sotto un’unica prospettiva (favorevoli/contrari, accoglienza o respingimento). Accanto al diritto degli individui di fuggire dal loro paese quando la situazione diventa insostenibile, sussiste il diritto degli Stati di proteggere i propri confini e regolare gli ingressi di fronte a un numero altissimo di arrivi. E invece c’è chi in Italia, mosso anche da comprensibili ragioni umanitarie e non solo da pregiudizi ideologici, ritiene che il diritto all’ospitalità si debba trasformare in un quasi immediato diritto alla cittadinanza, dimenticando che i migranti per integrarsi nella nazione in cui hanno deciso di risiedere e lavorare, hanno dei diritti, ma anche dei doveri: il dovere di conoscere e rispettare le leggi del Paese che li ospita e quello di sentire come cosa propria il suo patrimonio storico-culturale, a partire dallo studio della sua lingua e della sua storia; e questo comporta logicamente tempi non brevi per l’acquisizione della cittadinanza.
Infine negli ultimi tempi opinionisti e intellettuali fanno a gara a sostenere la necessità di una porta sempre aperta nei confronti dei migranti, di oggi come di ieri, ritenendo che l’identità italiana si sia formata con un processo storico virtuoso in una fusione tra loro e noi, in un Italia pertanto da sempre multietnica e multiculturale.
I popoli accolti e fusi nella nostra terra nel corso dei secoli lo furono sì, ma dopo invasioni, guerre, soprusi e miserie devastanti che spesso durarono molto a lungo. E quando si attualizza in maniera acritica la civiltà antica del Mare Nostrum, per esempio parlando di Enea come di un rifugiato, richiedente asilo e migrante troiano, si falsa anche la realtà di un mito che, almeno nella versione virgiliana, lungi dal consegnarci una simile immagine idilliaca, ci parla invece di guerre feroci che sarebbero state scatenate proprio dall’arrivo di Enea sulle coste del Lazio.
Sergio Casprini