Da alcune settimane il Ministero della Cultura è al centro di accese polemiche tra strumentalizzazioni politiche e risvolti tragicomici, tra gossip mediatico ed errori palesi di gestione. E su questo ministero di minor peso rispetto a dicasteri come gli Interni, la Difesa, gli Esteri, l’Economia, per la prima volta si è aperta una discussione pubblica riguardo al suo ruolo.
Per maggioranza e opposizione è stata l’occasione per esprimere la loro visione della politica culturale: per la sinistra un simbolo di decoro istituzionale, di corretta gestione amministrativa, di equa distribuzione delle risorse, di rispetto delle professionalità, con venature di politicamente corretto; per la destra uno strumento di lotta ad alcune storiche rendite culturali o di affermazione di un maggior pluralismo di idee, col rischio però di cadere in un’anacronistica nostalgia di uno stato interventista e pedagogo. Va detto anche che nel campo dei progressisti è gradatamente venuto meno un modello di politica che favorisca le manifestazioni di libertà artistica e valorizzi le istituzioni come le biblioteche e i teatri, a favore di un’idea di cultura come importante fattore di sviluppo economico e di generico benessere sociale; una visione funzionale al turismo e all’intrattenimento di massa. Per esempio, quando alcuni anni fa era Ministro della Cultura il democratico Dario Franceschini, di lui si ricordano ancora le compiaciute affermazioni sul turismo come il “Petrolio italiano”, senza tener in alcun conto quanto questo “petrolio” potesse essere anche inquinante, cioè creare il fenomeno dell’”overtourism” con nefaste conseguenze in città come Venezia e Firenze.
Oggi il Ministero della cultura è preposto alla tutela della cultura e dello spettacolo e alla conservazione del patrimonio artistico, culturale e del paesaggio. E, quando fu istituito nel 1974 dal quinto governo Moro, gli furono assegnate una serie di competenze tolte al Ministero della pubblica istruzione, denominandolo “Ministero per i beni culturali e ambientali“.
Il suo primo titolare è stato Giovanni Spadolini, uomo di cultura, ma non politico di professione (o per lo meno non ancora in quegli anni), alla sua prima esperienza da ministro. La sua brillante carriera di storico, accademico e giornalista gli conferiva sicuramente credibilità; il fatto che non si trattasse di un politico di lungo corso faceva sperare in un Ministero d’azione e non di parola. E in effetti si sarebbero finalmente attuati, sia pure con un ritardo di trent’anni, i princìpi previsti dalla Costituzione repubblicana all’articolo 9, comma 2: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. L’atto costitutivo di questo nuovo dicastero è stata anche la naturale conclusione di un dibattito che aveva impegnato molti esponenti della cultura italiana già da prima della nascita della Repubblica, a cominciare da quell’età giolittiana di cui Spadolini era un profondo conoscitore. Va ricordato infatti che come Ministro della Pubblica Istruzione nel quinto governo Giolitti (1920-1921), Benedetto Croce nel 1920 aveva presentato un disegno di legge sulla tutela del paesaggio; in seguito, alla caduta del governo Giolitti, avvenuta l’anno successivo, la legge fu poi approvata nel 1922.
Per la fragilità dell’esecutivo e la breve durata del suo mandato (il governo Moro cadde nel febbraio 1976), Spadolini ebbe appena il tempo di gettare le fondamenta normative della nuova struttura ministeriale, lasciando aperte molte questioni che negli anni successivi furono affrontate in maniera frammentaria, o non vennero affrontate affatto, sia per le diverse deleghe e competenze che venivano affidate di volta in volta a questo nuovo ministero, sia perché se si va a leggere i nomi dei ministri dopo Spadolini, a parte qualche eminente politico o uomo di cultura, si scoprirà che si trattava di personaggi quasi sconosciuti o di scarso spessore culturale, che non hanno lasciato alcuna traccia del loro operato.
Il Risorgimento italiano è stato un processo storico che ha fondato una nazione indipendente e democratica con una sua specifica identità culturale, cioè un suo idioma, un suo patrimonio artistico, un suo paesaggio, che vanno salvaguardati e fatti meglio conoscere per la formazione delle nuove generazioni. Il Ministero della Cultura ha questo alto compito e non deve quindi essere oggetto delle ambizioni di politici al servizio del loro interesse e non di quello del loro Paese, né luogo di contesa tra opposte fazioni o di contrapposizioni ideologiche.
Sergio Casprini
Roma. Palazzo del Collegio Romano sede del Ministero della Cultura