La villa Medicea del Trebbio, nel Mugello, dove i Medici iniziarono una politica di espansione fondiaria, realizzata da Michelozzo
«Trivio; dal latino trivium. Punto d’incontro di tre strade». Tutto nasce da un trivio, da strade etrusche prima e poi romane, da un poggio. E dagli eredi di Chiarissimo de’ Medici, l’uomo all’origine della fortuna della famiglia che ha dominato Firenze e la Toscana per tre secoli. Un trivio diventato nella lingua popolare un trebbio e poi il Trebbio, con la maiuscola, ad indicare una torre ed i possedimenti attorno, la prima villa fuori delle mura di Fiorenza della famiglia delle sei palle, nel loro amato Mugello.
Il Trebbio, dunque, nel Mugello in cui i Medici nel XIV secolo iniziarono una politica di espansione fondiaria, acquistando terre e fattorie, luogo strategico lungo la strada che allora era la più diretta per arrivare in Lombardia, ma che nel XIII secolo era poco più che una torre fortificata, con vicino qualche casa e alcuni poderi. Proprietà che Averardo de’ Medici nel 1309 comprò da Ghino d’Attaviano, che in forte difficoltà economica dovette vendere la sua casa natale. Averardo, figlio di Filippo di Chiarissimo dei Medici, viveva a Firenze ai tempi di Dante, era esponente di spicco dei Guelfi neri e in quello stesso 1309 divenne Priore, e per anni continuò ad espandere le sue terre in Mugello, tra San Piero a Sieve, il Trebbio e Cafaggiolo, altro nome importante nella storia dei Medici e delle loro dimore. Averardo ebbe sei figli maschi e alla sua morte il Trebbio andò al figlio Francesco e alla morte di Francesco ai suoi tre figli e di passaggio in passaggio giunse a Giovanni di Bicci, mentre la proprietà era stata nel frattempo unificata, la casa diventata un vero castello, il terreno difeso da un muraglione. È lui, Giovanni di Bicci il ricchissimo banchiere che elevò lo status della famiglia, l’uomo da cui nacque Cosimo il Pater Patriae, che ampliò la fattoria ed intraprese i lavori per adottare la dimora alle nuove esigenze della famiglia e del rango, affidando l’incarico, secondo le cronache, a Michelozzo, come fece anche il figlio Cosimo.
Michelozzo attorno al 1420 avviò il cantiere per la villa-castello, terminato in pochi anni, rifacendo la torre e aumentandone altezza ed eleganza, realizzando la loggia della villa, riunificando l’edificio attorno alla corte interna con al centro un antico pozzo. L’architetto realizzò poi il giardino con pergolato che si appoggia su 46 pilastri di mattoni, e il giardino murato, primo esempio simile in una villa campestre, rinnovando la chiesetta preesistente, che venne intitolata a Cosma e Damiano, i santi protettori della casata.
Villa e giardino, insomma, come poi sarà in tutte le ville Medicee, e tutto attorno bosco e terre, che confinavano con quelle della villa di Cafaggiolo, in cui Cosimo il Vecchio cacciava e pescava volentieri. La dimora mugellana servì a Cosimo e la sua famiglia nel 1430 per fuggire dalla peste che imperversava in città, con il figlio di Giovanni di Bicci che aveva la sua camera proprio nella torre, e Cosimo si trovava al Trebbio quando nel 1433 fu convinto a tornare e Firenze e poi arrestato e chiuso in una cella, l’Alberghettino, sulla Torre di Arnolfo. Il Medici, a suon di Fiorini d’oro, si guadagnò l’esilio dorato a Padova e appena dodici mesi dopo rientrò trionfalmente a Firenze, assieme al fratello Lorenzo, dando il via alla Signoria della famiglia che sarebbe terminata solo con i Lorena.
Scomparso Cosimo, il Trebbio — che aveva ormai l’assetto definito, quello ritratto nella lunetta di Giusto Utens — andò al nipote Pier Francesco, del ramo popolano dei Medici, e divenne la sua casa più amata. Il Popolano aveva come contabile della fattoria Bernardo Vespucci, zio di Amerigo, il futuro famoso navigatore, che sì rifugio al Trebbio per sfuggire da quella peste che nel 1476 si portò via lo stesso Pier Francesco. Botticelli, protetto da Lorenzo il Popolano, figlio di Pier Francesco, uomo colto e gran mecenate, che gli commissionò la Primavera, per la chiesetta del Trebbio realizzò la pala di altare con Madonna con Bambino, oggi esposta all’Accademia, e a Lorenzo il Vespucci dedicò il Mundus Novus, quel Nuovo Mondo che rivoluzionò l’epoca e alla fine dette il nome di America al nuovo continente. Il Trebbio fu poi ereditato dal figlio di Caterina Sforza da Forlì, Giovanni dei Medici, detto dalle Bande Nere, e vi dimorarono la moglie Maria Salviati e il figlio Cosimo destinato nel 1537 al governo di Firenze di cui divenne primo Granduca. Cosimo soggiornò spesso nella villa dove era cresciuto nei primi anni del suo potere, gustando anche che i vini prodotti nella tenuta, poi le cose cambiarono e la villa-castello, ormai troppo rustica per la famiglia che abitava nella reggia di Palazzo Pitti, divenne solo una grande tenuta agricola che procurava guadagni, lontana dalla geografia sentimentale e del potere mediceo, e già con Ferdinando I il suo splendore era ormai un ricordo.
La storia della villa del Trebbio dai Medici ad oggi
Alla fine nel 1644 il granduca Ferdinando II vendette l’intera fattoria del Trebbio al mercante fiorentino Giuliano Serragli, che la lasciò in eredita ai Padri Filippini. Nel 1865, quando venne decisa dal governo italiano la soppressione degli ordini religiosi, i Padri intestarono castello e decine poderi ad Oreste Codibò, un laico loro amministratore di fiducia. Alla sua morte il complesso andò al nipote Leopoldo, nonostante una lunga opposizione in tribunale dei Filippini, ma l’uomo dissipò ogni bene, lasciandone cadere in abbandono gli edifici, tanto che nel 1886 i suoi eredi vendettero all’asta il Trebbio che fu acquistato da Maria Teresa de La Rochefoucauld, vedova del principe Marco Antonio Borghese proprietario della vicina tenuta di Cafaggiolo. Tutto il complesso fu rivenduto all’asta dai principi Borghese nel 1936, e il dottor Enrico Scaretti acquisì entrambe le fattorie di Cafaggiolo e Trebbio, restaurando, assieme alla moglie Marjorie Jebb che si innamorò a prima vista dell’antico maniero, il Trebbio — che era fatiscente, con il tetto in parte scoperchiato, il torrione pericolante e il parco in stato di abbandono — recuperandone l’originario disegno e riforestando i terreni vicini. Da Enrico il maniero, che scampò anche all’idea dei nazisti di minarne e distruggerne la torre per evitare che fosse usata dagli Alleati, è passato a Lorenzo Scaretti e alla morte di quest’ultimo — siamo ormai negli anni Duemila inoltrati — al marchese Clemente Corsini. Che vi ha piantato oltre 30 mila ulivi, tornando così alle radici anche agricole della tenuta.
Mauro Bonciani Corriere Fiorentino 10 novembre 2024
Villa Medicea del Trebbio nella lunetta di Giusto Utens