Gian Antonio Stella Corriere della Sera 30 dicembre
«Il Quirinale è la casa degli italiani», ha detto più volte Giorgio Napolitano. È una frase molto bella. Espressa, ne siamo certi, con sincerità. Gli italiani, però, possono entrarci poco. Sarebbe un torto alle istituzioni scegliere per il capo dello Stato una sede nobile ma diversa spalancando finalmente a tutti uno dei palazzi più importanti del pianeta?
Conosciamo l’obiezione: ma come, adesso? Non c’è il rischio, in questi tempi di sbandamento, di intaccare una delle figure che ancora godono di largo prestigio popolare? Tesi dura da sostenere: Francesco ha scelto di abbandonare gli appartamenti papali per vivere nei pochi metri quadri di una delle camere con salottino del convitto Santa Marta. E mai Papa ha goduto di tanto prestigio e tanto affetto popolare.
Napolitano, nella scia di Carlo Azeglio Ciampi e altri ancora, ha reso onore al Quirinale. E a buon diritto può rivendicare di avere contenuto le spese: il palazzo costa oggi, contando l’inflazione, meno che nel 2008. E i tagli, compreso quello di 507 addetti, sarebbero stati più vistosi se alcuni costi mostruosi come quello delle pensioni (90 milioni sui 228 della dotazione 2014) non fossero imbullonati alla difficoltà enorme di toccare i diritti acquisiti, sia pure spropositati.
Resta il fatto che la reggia che ospitò i Papi, i Savoia e infine i presidenti della Repubblica, proprio perché è molto più grande e più ricca e più costosa nella manutenzione, come il Colle precisa ogni volta che c’è una polemica sui confronti con l’Eliseo o Buckingham Palace, pesa sulle pubbliche casse più di ogni altro. Nuova obiezione: ma è aperta al pubblico! Sì, alcune stanze di rappresentanza e, precisa il sito, «quasi ogni domenica». Dalle 8.30 alle 12. Tranne l’estate: chiuso. Più le visite delle scuole: un’ora a settimana. Su appuntamento. Più i concerti nella cappella Paolina, tre o quattro al mese da ottobre a giugno. Più le mostre temporanee nelle Scuderie. Come quella del 2013 su Tiziano che richiamò 245.979 turisti. Un piccolo trionfo, con 2.365 visitatori al giorno. Ma comunque all’80° posto nella classifica mondiale. Dopo «La poetica della carta» al Getty Center di Los Angeles.
La Hofburg di Vienna, per secoli cuore del potere degli Asburgo, ospita oggi solo un ufficio di rappresentanza della presidenza più la sede dell’Osce e soprattutto una straordinaria rete di istituzioni culturali. Dal museo di Storia naturale alla Biblioteca Nazionale, dall’Albertina alla Scuola d’Equitazione Spagnola fino al celebre Kunsthistorisches che fa da solo un milione e 300 mila ingressi l’anno.
Lo stesso re di Spagna vive alla Zarzuela e utilizza il Palazzo Reale (formalmente ancora sede della casa regnante) solo per certe cerimonie ufficiali ma il Palacio Real madrileno è aperto al punto di avere accolto nel 2013 oltre un milione di turisti. E lo stesso doppio uso è in vigore da altre parti, come in Svezia, dove la reggia di Stoccolma è aperta tre ore al giorno dal martedì alla domenica nei mesi invernali e tutti i giorni per sei o sette ore in quelli estivi.
Per non dire dei casi storicamente più eclatanti. Il Louvre che da moltissimo tempo non ospita il re di Francia (o il presidente della Repubblica, che sta all’Eliseo, un palazzo minore donato da Luigi XIV a madame de Pompadour) attira ogni anno nove milioni di turisti, la Città Proibita di Pechino dodici.
Diciamolo: è un peccato che tanta apertura non sia possibile al Colle. Certo, è curioso entrarci con la «visita virtuale» offerta dal sito web e «ammirare la ricchezza artistica del Palazzo» grazie alle «immagini “immersive” (come se il visitatore fosse nelle sale o nei corridoi) ad alta definizione». E fa venire l’acquolina in bocca spostarsi dal Cortile d’onore al salone dei Corazzieri, dalla Cappella Paolina dove si svolsero quattro conclavi (ultimo quello che elesse Pio IX) alla Sala delle Virtù e via così. E come dice il cicerone web «tra le tante tappe ci si può soffermare su affreschi di Guido Reni, Pietro da Cortona e altri…». Ma sempre virtuale è.
Lo diciamo oggi perché Napolitano ha già annunciato le dimissioni e ancora non si sa chi avrà l’onore e l’onere di prendere il suo posto. Sarebbe sgarbato chiedere «dopo» al nuovo capo dello Stato di lasciare quel palazzo già occupato da vari Papi, quattro re d’Italia e dieci (non undici: Enrico De Nicola da «provvisorio» preferì palazzo Giustiniani) presidenti. Ma in questi giorni «neutri», a cavallo fra il prima e il dopo, vale la pena di riproporre quanto già altri avevano suggerito. Nella sua autonomia, il nuovo capo dello Stato potrebbe «dare aria» alle Istituzioni trasferendosi in un altro palazzo, bellissimo ed elegantissimo, come dicevamo, per spalancare il Quirinale agli italiani e agli stranieri che accorrerebbero entusiasti alla scoperta di quelle stanze finora in gran parte chiuse. E fare di quel Palazzo di 1200 stanze un grande museo in grado di sbaragliare, con la sua storia, i suoi capolavori, le sue collezioni di arazzi o orologi, le sue mostre temporanee in spazi meravigliosi, ogni concorrenza mondiale.
Certo, molti funzionari, burocrati, dirigenti che si erano abituati a vivere in quella bambagia, storcerebbero il naso: ma come! la tradizione! il decoro! Gli italiani però, ci scommettiamo, vedrebbero la svolta con simpatia. E la leggerebbero, di questi tempi, come un gesto di sobrietà, di riconciliazione, di amicizia.