Parole e politica DA CAVOUR A DE GASPERI
Belardelli Giovanni – Corriere della Sera (15 dicembre 2012)
Abbiamo visto Berlusconi dichiararsi disponibile a un passo indietro se Monti accetterà d’essere il leader dei moderati. Ma abbiamo anche visto che Casini e Montezemolo vorrebbero costituire loro una lista dei moderati, ispirata proprio a Monti e in alternativa al Cavaliere. Nello stesso tempo i giornali riferiscono che i moderati del Pdl starebbero per abbandonare Berlusconi, evidentemente considerandolo poco o nulla moderato. E’ chiaro quale sia la difficoltà a usare in modo minimamente preciso il termine «moderato».Questa difficoltà sta evidentemente nel fatto che chi più lo ha utilizzato in questi anni ha spesso avuto comportamenti politici (e lasciamo stare quelli personali) assai poco moderati: si veda da ultimo la tentazione berlusconiana di sposare un populismo antieuropeo e antitedesco. Del resto, anche soltanto in riferimento allo stile e al linguaggio politico, l’aggettivo si trova ad essere impiegato sia in relazione a un uomo dalla sobrietà nordica e un po’ algida come Monti sia in riferimento a un Berlusconi che è sempre parso incline a certe uscite molto mediterranee e spettacolari. In questa situazione il termine moderato finisce col non definire molto di più che il fatto di non riconoscersi ? si tratti delle forze politiche o dell’opinione pubblica ? nella sinistra di Bersani e Vendola. Il che forse è un po’ poco. L’uso certamente più significativo del termine nella nostra storia fu, durante il Risorgimento, quello fatto da Cavour e dai liberali, appunto, moderati. Ma moderati in riferimento alle ipotesi insurrezionali che Mazzini o altri avevano per risolvere il problema dell’unità e dell’indipendenza italiane. Perché, per quanto atteneva invece ai contenuti politici, le posizioni di Cavour furono tutt’altro che moderate. Non lo furono, ad esempio, le misure con cui il Conte colpì i privilegi economici della Chiesa nel Regno di Sardegna (con la soppressione delle congregazioni religiose e l’incameramento dei loro beni) o quelle destinate alla modernizzazione economica del Piemonte. Il risultato della politica cavouriana volta a realizzare l’indipendenza dall’Austria, poi, fu semplicemente rivoluzionario, visto che permise la nascita del nuovo Stato italiano. Cose non troppo diverse si potrebbero dire a proposito di un altro grande moderato come Alcide De Gasperi, capace ove necessario di compiere scelte decisamente radicali come l’estromissione delle sinistre dal governo nel maggio 1947 o come, su un altro piano, la riforma agraria del 1950 con la quale per la prima volta nella storia dell’Italia unita si modificava in profondità l’assetto fondiario del Paese. La lezione che viene da due moderati come Cavour e De Gasperi è in fondo valida anche oggi, se pensiamo ai molti e poderosi ostacoli che bloccano la crescita del Paese. Come ha ricordato Lucrezia Reichlin sul Corriere della sera dell’11 dicembre, ciò che distingue l’Italia dagli altri Paesi europei è che sono vent’anni che non cresce, anche quando la crisi economica non c’era. E continuerà a non crescere se non si interverrà in modo radicale su tutto ciò che blocca il nostro sviluppo: dalla riduzione della spesa pubblica e della presa che lo Stato esercita sull’economia e su mille aspetti della vita sociale alla riduzione della pressione fiscale, da tempo diventata pressoché insostenibile; dalla lotta a un’evasione non solo praticata ma considerata legittima da troppi italiani all’introduzione di uno straccio di meritocrazia nel mercato del lavoro e non solo. In questi campi e in tanti altri (dalle liberalizzazioni alla riduzione dei tribunali o delle Province) il governo Monti ha potuto concludere poco anche per la forza degli interessi costituiti, che si trattasse di corporazioni e lobby o di settori della società che si sentivano minacciati anche soltanto nel godimento di uno stipendio modesto ma sicuro che la spending review rischiava di colpire. Ma è dalla ripresa di misure del genere che dovrebbe ripartire, chiunque alla fine ne sia alla testa, un partito dei moderati. Ricordando appunto, come mostrano i casi di Cavour e di De Gasperi, che in certe condizioni il moderatismo può, anzi deve, avere il coraggio di prendere decisioni radicali.