La Ballata del 25 APRILE del poeta Alfonso Gatto fu letta alla televisione dall’attore Giancarlo Sbragia il 24 aprile 1963 per la rubrica «Almanacco di scienza, storia e varia umanità»
Dicevo in ogni giorno, in ogni mese:/ «Verrà verrà l’aprile, quel cortese/ d’aprile, le campagne del maggese/ dal duro della zolla avranno i fiori»./ Io credevo a quel cielo, a quei colori/ della speranza, ed era un metter fuori/ le parole taciute in tutti i cuori/, un respirare l’aria con gli odori/ della terra, vedere gli occhi — i chiari/ occhi dei vivi — accendersi nel nome/ delle cose chiamate a dirle vere:/ la sedia, il pane, l’acqua, il vino, come/ nel primo giorno, nelle prime sere.E per la libertà chiedevo ai mari/ la parola del vento che precorre/ le sue distanze, il brivido che corre/ sull’acqua, l’orizzonte della torre/ che oltre il vedere sembra di vedere/ bianca nel bianco delle sue scogliere. E dell’amore dentro me scaldavo/ la tenerezza come un figlio, il fiato/ dell’umana temperie. «Tornerà/ — dicevo — tornerà da questo scavo/ di silenzi e di gelo il soleggiato/ cammino della terra, la parola/ dell’uomo solo non sarà più sola». Credevo – con il corpo – come il seme/ sotto la neve nel germoglio preme/ la lieve scorza e sente tutta insieme/ la terra che s’appiglia al filo d’erba./ L’Italia vecchia s’era fatta acerba.
La libertà per giungere all’aperto/ delle sue piazze, nel clamore incerto/ che udivo come in sogno alzare Roma,/ era — a sognarla — da lontano come/ lo stupore di vivere a chi vede/ la prima volta muovere il suo piede./ Quando sarebbe giunta a noi? Milano/ era in un lungo inverno dal lontano/ settembre: dall’estate di Loreto/ di giorno in giorno chiusa nel divieto/ delle sue strade in mezzo alla pianura.
Uscì la primavera dall’oscura/ notte d’aprile e rivedemmo il giorno./ In Piazza Tricolore, tutti intorno/ alla vecchia bandiera, i patrioti /— popolani ragazzi visi ignoti —/ uscivano dai libri delle scuole, dalle Cinque Giornate incontro al sole/ della mattina, incontro agli operai.
Era la libertà che non fu mai/ così vera, decisa. Dal suo lutto/ che in ogni casa ricordava il vuoto/ dei morti, degli assenti nell’ignoto/ viaggio verso i lager, con tutto/ il suo pianto segreto, il duro strazio/ di non sapere, confermava l’uomo/ umano nel suo vivere lo spazio,/ della misura che l’accoglie: voce/ di sé per tutti in ogni voce, duomo,/ casa, fabbrica, scuola, amore,/ foce del grande fiume verso la sorgente.
Alfonso Gatto (1909/1976), salernitano, interrotti gli studi universitari a Napoli, giunse a Milano nel 1934 e frequentò i circoli culturali. Esordì con la raccolta di poesie Isola (1932) e diventò nel 1945 inviato de «l’Unità» (Gatto si iscrisse al Pci nel 1944 ma ne uscì nel ’51). Nel 1976 fu coinvolto in un incidente stradale e morì a Orbetello (Grosseto). Nel 2017 è uscita per Mondadori la nuova edizione ampliata di Tutte le poesie a cura di Silvio Ramat.