Il 21 e 22 febbraio si è tenuto a Firenze un interessante convegno di studi sugli anni di Firenze Capitale d’Italia, Capitale europea della cultura e della ricerca scientifica, in cui approfondite e puntuali relazioni di docenti universitari hanno dato un quadro ricco della situazione sociale e culturale della Firenze ottocentesca.
E’ stato un bagno ristoratore nella storia del Risorgimento in Toscana per i numerosi partecipanti, disertato però dai giovani, dagli studenti delle scuole superiori e soprattutto dagli studenti universitari, che hanno perso un’occasione importante di aggiornamento culturale.
Questo episodio, e se ne potrebbero citare altri, conferma che è in atto da tempo un cortocircuito generazionale, tra i più anziani che riflettono ancora sui chiaroscuri della memoria storica e i più giovani che restano appiattiti invece su un indifferenziato presente. Per capirne le ragioni occorre interrogarsi sui processi che formano la coscienza e l’identità di un popolo e quindi sulla scuola italiana.
Da molti anni essa è una gigantesca macchina fatta di circa un milione di dipendenti, di migliaia di edifici frequentati da milioni di studenti, sempre pronta ad allestire iniziative le più varie, a sfornare circolari, lettere, verbali e registri. Una macchina burocratica, appunto. Ma senz’anima: che non sa perché esiste né a che cosa serva, e che proprio perciò è in crisi da decenni . Una crisi la cui gravità non è testimoniata tanto dai pessimi risultati ottenuti dagli studenti della nostra scuola nei confronti internazionali, ma da qualcosa di più profondo e di più vero.
La scuola italiana non riesce più a conferire alcuna autorevolezza a nessun fatto, pensiero, personaggio o luogo di cui si parli nelle sue aule. Non riesce più a creare o ad alimentare in chi la frequenta alcun amore o alcun rispetto, alcuna gerarchia culturale. E perciò non serve a legittimare né il Paese o il suo passato, la sua tradizione, e tanto meno lo Stato, la Costituzione, il sistema politico.
Si possono tranquillamente frequentare le sue aule e non accorgersi che l’azione del conte di Cavour o l’impresa dei Mille o il Dialogo sopra i massimi sistemi o una terzina del Paradiso o la Cappella Sistina di Michelangelo rappresentano momenti alti di verità e di vita, posti davanti a noi come termini di confronto ideali, ma anche concreti. La scuola pubblica non è solo un sistema per impartire nozioni. Nessuna scuola autentica del resto lo è mai stata: deve impartire nozioni, come è ovvio, ma può riuscirvi solo se insieme è anche qualcos’altro, e cioè se al suo centro vi è un’idea, una visione generale del mondo. La scuola pubblica in Europa è nata intorno al compito di testimoniare un’idea del proprio Paese, i caratteri e le vicende della collettività che lo abita, sentendosi chiamata a custodire l’immagine di sé e gli scopi di una tale collettività.
Anche il sistema d’istruzione pubblico italiano non può che afferire al suo contesto nazionale. Questo è il punto, da qui bisogna ripartire: nel marasma culturale e politico di questi anni è necessario pertanto ritrovare un’idea forte dell’Italia, che ritorni a pensare se stessa come nazione e cominci a progettare il suo futuro, non dimenticando intanto il suo passato.
Riappropriarsi del passato e della tradizione per ritrovarsi: questo è il compito urgente che sta davanti alla scuola italiana perchè possa riavere un senso e una funzione e tornare ad essere vitale. E quando si parla di tradizione non si pensa solo a quella umanistica o a quella scientifica, ma anche a quella artistica e manuale delle molteplici botteghe ed officine che hanno dato lustro alla storia del nostro Paese. Ridare vita ai licei, alle scuole d’arte, alle scuole professionali, salvaguardando i relativi e specifici contenuti disciplinari è una concreta e possibile riforma scolastica. E solo in questa prospettiva ha senso parlare di nuovi ordinamenti, di aumento di organici, di efficaci valutazioni del sistema scolastico e soprattutto pretendere più risorse economiche.
La rinascita di un canone valoriale e culturale della scuola italiana infine permetterebbe di nuovo un confronto tra le generazioni, un dialogo anche aspro tra anziani e giovani sulle questioni cruciali della cultura, della politica e dell’economia italiane, appannaggio solo di una classe dirigente, da anni screditata e chiusa nella sua autoreferenzialità. E’ l’unica possibilità che i convegni culturali, le assemblee di partito e di quartiere, le manifestazioni istituzionali e di piazza siano un momento alto di partecipazione democratica senza più barriere di età, di censo, di visioni ideologiche nell’ottica di una rigenerazione effettiva del nostro Paese.