Nel secolo scorso la celebrazione del 25 aprile, pur essendo una festa nazionale e come il 2 Giugno una data simbolo della Repubblica italiana, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale e del fascismo, nel clima della Guerra Fredda e delle contrapposizioni ideologiche degli schieramenti politici, era vissuta da molti non solo come un giorno di festa della Repubblica, ma come occasione di rivendicazione politica di classe contro il potere democristiano e borghese. Infatti non c’erano particolari differenze, soprattutto negli anni 60 e 70 del Novecento, con i cortei con le bandiere rosse e con i comizi in piazza, tra la celebrazione del 25 aprile e quella del 1 maggio.
Quest’anno a 70 anni dal 1945 è stato un 25 Aprile meno ideologico e più sentito rispetto agli anni, delle divisioni faziose tra italiani, tra chi rivendicava un’identità di sinistra alla Resistenza e chi affermava una visione corale della liberazione dal nazifascismo, con l’apporto anche di forze cattoliche e liberali; il trascorrere degli anni ha giustamente stemperato le polemiche di allora ed ha contribuito a creare un minimo di condivisione dei valori resistenziali nell’opinione pubblica e nella società civile.
Una condivisione che non significa comunque mettere sullo stesso piano storie diverse.
C’è chi ha avuto le case bruciate ed è stato vittima innocente di feroci rappresaglie e c’è chi quelle case le ha bruciate ed è stato esecutore di quelle stragi. Quindi oggi in una visione non più ideologica della storia italiana si può concludere senza alcun dubbio che chi ha combattuto i nazisti aveva fatto la scelta giusta; chi, magari convinto in buona fede di servire la patria, ha combattuto accanto ai nazisti, aveva fatto la scelta sbagliata.
La Resistenza è considerata da molti storici e politici il secondo atto del movimento risorgimentale, tra i primi i presidenti della Repubblica Ciampi e Napolitano con la loro autorevolezza hanno confermato questa tesi ed in questi anni di celebrazioni dell’Unità d’Italia hanno favorito nel nostro Paese la consapevolezza di una memoria storica condivisa a partire dalle prime guerre d’Indipendenza, per cui oggi per esempio non esiste più quella frattura tra mondo cattolico e quello laico che avvenne nel 1870 con la Breccia di Porta Pia a parte qualche frangia fondamentalista da una parte o dall’altra.
Resta però irrisolto da un punto di vista culturale il gap generazionale.
I giovani costantemente interconnessi con un perenne presente ed una società globalizzata sono indifferenti o ignorano la storia del loro Paese, non solo gli episodi salienti, lontani nel tempo, del Risorgimento, ma anche quelli più vicini come la Resistenza e la nascita della Repubblica italiana.
Questo non può che essere il compito della nostra scuola, che dovrà ritrovare prima possibile una sua forte identità culturale e nazionale e solo allora potrà formare sia buoni professionisti e valenti artigiani sia cittadini italiani, consapevoli ed orgogliosi di una memoria storica, condivisa da tutti, uomini,donne, vecchi e giovani.