Da quando il presidente francese Macron ha annunciato l’obbligatorietà, a partire da agosto, del cosiddetto “Green pass” per accedere ai luoghi pubblici e per usufruire dei trasporti a lunga distanza, è nato un dibattito sulla possibilità, ma anche sulla legittimità, di replicare in Italia questo modello.
C’è tra le altre l’esigenza di garantire la didattica in presenza a tutti gli studenti, in particolare nelle scuole superiori, fin dall’inizio del prossimo anno scolastico, per evitare il ricorso alla didattica a distanza, di cui l’Invalsi ha di recente evidenziato i danni all’apprendimento. Il governo sembra orientato a stabilire l’obbligo vaccinale almeno per tutto il personale scolastico, come molti ritengono necessario, e questo ha reso particolarmente aspra la discussione pubblica.
Ne è nato infatti uno scontro tra due posizioni radicalmente diverse: da una parte chi si dice contrario al Green Pass in nome della libertà individuale; dall’altra i favorevoli, che si appellano per lo più all’interesse della collettività. Va pur aggiunto che le ragioni di chi si oppone alle scelte del governo sono sostenute in modo fazioso e spesso in malafede. Si denuncia una dittatura sanitaria in un paese democratico come l’Italia, si fanno accostamenti vergognosi con l’Olocausto, in nome della libertà si sfida il contagio, negando le regole della convivenza civile e dimenticando i 128.000 morti dall’inizio della pandemia e quelli che potrebbero essere causati dalla mancanza di responsabilità.
I nostri connazionali “No Vax”, che sventolano in piazza il tricolore, non ricordano che l’articolo 32 della Costituzione stabilisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.” Quindi non vieta affatto la possibilità che tutti i cittadini, o particolari categorie di cittadini, possano essere sottoposte per legge all’obbligo di vaccinarsi nell’attuale situazione di emergenza sanitaria. Questo principio costituzionale, tra l’altro, ha avuto attuazione con la Legge 23 dicembre 1978, n. 833, con la quale è stato istituito il Servizio sanitario nazionale; con essa viene appunto sancito il concetto di salute inteso come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Anche negli anni della nascita della Nazione si pose con urgenza la questione della salute e dell’igiene pubblica. Infatti, all’indomani della proclamazione dell’Unità d’Italia, il Regno si presentava come un paese povero, dove le condizioni di vita della popolazione erano in media fortemente arretrate. Nel 1863, anno in cui vennero rilevati i primi dati sulla speranza di vita della popolazione, morivano entro il primo anno 232 bambini nati vivi su 1000. Le abitazioni malsane, la mancanza di acqua potabile e la scarsa igiene portavano alla diffusione di molte malattie contagiose come il colera, il tifo, il vaiolo e la difterite, oltre alla tubercolosi, detta “il male del secolo” e la sifilide, diffusa soprattutto fra i militari. Ancora nel 1887, a quasi vent’anni dalla breccia di Porta Pia, uno dei problemi che affliggeva maggiormente il Paese era quello sanitario.
1890 Ritratto di Francesco Crispi
Alla morte nel 1887 di Agostino Depretis, Presidente del Consiglio, gli successe Francesco Crispi. Appena salito al potere, decise di affrontare il drammatico problema sanitario del Paese e istituì al Ministero dell’Interno la Direzione di sanità pubblica, coinvolgendo per la prima volta i medici nel processo decisionale. Affidò l’incarico della stesura di una nuova legislazione all’epidemiologo Luigi Pagliani, illustre docente universitario torinese, titolare della prima cattedra italiana di Igiene e uno dei padri fondatori della Sanità pubblica in Italia. Il 22 dicembre 1888 fu promulgata la legge “Sulla tutela dell’igiene e della sanità pubblica”, la prima grande riforma sanitaria italiana. La legge, detta anche “Legge Crispi – Pagliani”, trasformò l’approccio di polizia sanitaria in sanità pubblica. Teneva infatti conto dell’insieme delle condizioni geo-fisiche, demografiche e urbanistiche del Paese e prevedeva assistenza farmaceutica, medica, ostetrica e profilassi delle malattie sociali.
La riforma prevedeva un’organizzazione sanitaria di tipo piramidale che garantisse tra vertice e base un continuo flusso bidirezionale di informazioni. Dalla base provenivano notizie aggiornate sullo stato di salute del Paese: presenza di focolai epidemici, mortalità nei luoghi di lavoro, malattie da carenze alimentari; dal vertice le direttive del mondo accademico e della ricerca scientifica. Il mondo accademico non era più isolato nelle aule universitarie e nei laboratori e la classe medica era obbligata ad aggiornarsi scientificamente, conferendo al Paese una moderna coscienza sanitaria. La legge ebbe allora anche il plauso di Benedetto Croce: “La vigilanza igienica in Italia fece molti passi innanzi, concorrendo alla sparizione o attenuazione delle epidemie e degli altri morbi e dell’abbassamento della mortalità”. Fu quindi, quel periodo riformatore che pose le basi dell’odierna assistenza sanitaria, fortemente ispirato alla preoccupazione per il bene comune e per il sostegno ai meno fortunati.
Certamente tra i valori costitutivi del movimento risorgimentale italiano fu centrale il richiamo alla Libertà, per la quale sono morti tanti patrioti, dalle prime battaglie per l’Indipendenza del nostro Paese fino alla Resistenza. Una libertà, però, intesa come partecipazione a un comune destino e come adesione a un contratto sociale che includa la solidarietà reciproca tra i cittadini. Quindi, nello stato di necessità a cui il Covid-19 ci ha costretti in questi ultimi tragici anni, il senso della libertà individuale dovrebbe misurarsi sempre con una dimensione collettiva, per rafforzare ancor di più i valori e le regole della convivenza civile e il senso di appartenenza alla comunità nazionale.
In questo spirito patriottico giustamente il presidente Mattarella, garante dell’Unità nazionale, alla recente cerimonia del Ventaglio ha ammonito gli italiani, affermando che il virus limita la libertà di tutti e che vaccinarsi è un dovere morale e civico.
Sergio Casprini