Milano 14 maggio 1977. Durante una manifestazione dell’Autonomia Operaia contro il governo Andreotti un giovane autonomo spara con la P38 e uccide un poliziotto.
Il ragazzo che ha fatto «il gesto della pistola» al Senato contro Giorgia Meloni non rappresenta un fenomeno solo italiano. Dietro quell’episodio c’è un fenomeno in corso da tempo in America e in altri Paesi occidentali. Una giovane generazione torna a legittimare la violenza, se usata per abbattere un oppressore (o presunto tale) oppure per «salvare il pianeta». Che cosa dobbiamo dire noi adulti a questa generazione? Forse qualcosa imparammo nei nostri anni di piombo, quando certi adulti furono cattivi maestri, altri invece seppero vaccinarci contro la tentazione della violenza. Anche rischiando la vita.
Per la mia generazione il gesto della pistola non è innocuo, rievoca un periodo preciso. Andai a vivere in Italia a metà degli anni Settanta, appena maggiorenne aderii al Partito comunista allora guidato da Enrico Berlinguer. Tra i miei coetanei «più a sinistra» (così si consideravano loro: veri rivoluzionari) alcuni impugnavano pistole vere, le P-38, e sparavano per uccidere. Sul fronte avverso i neofascisti facevano stragi con le bombe. Gli opposti estremismi si ricongiungevano nel considerare che la Repubblica italiana fosse una democrazia «borghese, fasulla», che inseguire un cambiamento attraverso le elezioni fosse un’illusione. Nelle università non mancavano i predicatori dell’odio, alcuni divennero delle celebrity. C’erano però degli adulti capaci di contrastare l’imbarbarimento. I «vecchi» comunisti, dai dirigenti agli operai, non praticavano il giovanilismo, non erano indulgenti con chi si lasciava attrarre da fanatismi ideologici. Alcuni lo pagarono con la vita, tra le vittime delle Brigate rosse non mancarono gli operai del Pci.
La generazione nata in questo millennio — o almeno alcune frange consistenti — è in preda a una nuova febbre dell’estremismo. Gli eventi che la spingono a sdoganare la violenza spesso sono davvero abominevoli. Per esempio, la barbara uccisione dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis nel maggio 2020 da parte di un poliziotto. Quel che accadde in seguito, però, non aveva giustificazioni: un’estate di violenze contro le istituzioni, palazzi governativi e sedi delle forze dell’ordine assaltate e incendiate, saccheggi, un attacco frontale all’ordine pubblico. La destra radicale osservava la benevola indulgenza degli «adulti progressisti»; qualcuno pensò che l’assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021 servisse anche a pareggiare i conti. Gli opposti estremismi, di nuovo.
A soffiare sul fuoco della rabbia giovanile ci sono gli ideologi di sempre.
Quando il 7 ottobre 2023 Hamas ha trucidato ebrei, massacrato bambini, violentato donne, e molto prima che partisse la controffensiva dell’esercito israeliano, senza indugi era scattata la solidarietà con i terroristi. Il «gesto della pistola» in molti cortei studenteschi stava a significare che il palestinese — oppresso per definizione — è legittimato perfino a commettere atrocità, visto che deve castigare l’oppressore (solo israeliano, per definizione). A dividere il mondo in buoni e malvagi, vittime e persecutori, sfruttati e sfruttatori, sono prima di tutto gli adulti che indottrinano le nuove generazioni. Per un italiano può sembrare sconcertante il rispetto di cui gode Toni Negri in alcune facoltà di élite degli Stati Uniti. Nel lavaggio del cervello a cui sono stati sottoposti molti giovani, l’esplorazione della realtà viene scoraggiata, è più rassicurante il conformismo di massa. Un pezzo di gioventù non vuole interrogarsi su dove siano finiti fiumi di miliardi di aiuti umanitari per i palestinesi, donati soprattutto da noi occidentali, e con i quali Hamas avrebbe potuto edificare a Gaza un’altra Dubai.
Lo sdoganamento della violenza è evidente nelle forme di lotta praticate dagli ultrà dell’ambientalismo: pure loro aizzati da cattivi maestri, nella certezza che l’apocalisse è dietro l’angolo. Se davvero pensano di essere «l’ultima generazione» ogni forma di lotta è lecita, come appiccare il fuoco a una fabbrica di auto elettriche (è accaduto alla Tesla di Berlino). Ma non saranno gli ultimi abitanti della terra: grazie al capitalismo mostruoso e demoniaco, che investe nell’innovazione sostenibile e ci ha dato le tecnologie verdi.
Gli adulti che credono di aiutare i giovani perdonando ogni impazzimento ideologico, giustificando ogni deriva fanatica, in realtà abdicano alle loro responsabilità e rinunciano a essere degli educatori. In America è ormai disponibile una impressionante mole di studi sull’infelicità di questa Generazione Z. È la più pessimista di tutte. Paga prezzi pesanti anche in termini di patologie: depressioni, tossicodipendenze, suicidi.
Non si vede «il gesto della pistola» contro Vladimir Putin, benché stia mandando tanti giovani russi a morire al fronte. Non lo si vede esibire contro Xi Jinping malgrado la disoccupazione giovanile in Cina abbia superato il 20% (dato ufficiale). Il nostro paradosso è questo. La gioventù occidentale gode di privilegi enormi: non solo il benessere materiale ma libertà senza precedenti nella storia. Eppure è infelice perché convinta di vivere nella civiltà più oppressiva, ingiusta, distruttiva e schiavizzante. L’idea di progresso la disgusta. È cieca di fronte al fatto che il resto dell’umanità aspira a condizioni di vita occidentali, e se le conquista copiando la nostra tecnologia e la nostra economia di mercato, o addirittura emigra per migliorare le sue opportunità. Quale mondo immaginario abbiamo raccontato ai ragazzi, noi adulti?
Federico Rampini Corriere della Sera 22marzo 2024