Antonio Senta racconta la storia dei libertari italiani in terra straniera e il loro sogno di un patriottismo internazionale. Donne e uomini che affrontano l’esilio e il carcere nel nome di un’idea di giustizia cui dedicano la vita
Se fosse stato tedesco ed ebreo, avrebbe trovato miglior udienza», scriveva nel 1938 Gaetano Salvemini a un avvocato americano da cui sperava aiuto per il politico Luigi Meta. «Essendo cristiano, e – ciò che è? peggio – italiano, non c’è? nessun santo che si prenda cura di lui». Ovviamente, lo storico antifascista, allora in esilio in America, si guardava bene dall’utilizzare l’aggettivo che più di tutti qualificava l’amico in fuga dall’Europa: «anarchico». Se la Red scare (Paura rossa) diffusasi negli Stati Uniti dopo la Rivoluzione russa era ormai un ricordo, la lotta all’anarchismo era tutt’altro che finita. Da oltre mezzo secolo, infatti, dietro i periodici più combattivi (la «Cronaca sovversiva» di Luigi Galleani), dietro gli scioperi più poderosi (il Silk strike di Paterson nel 1913), dietro gli attentati più imprevedibili (i Mail-bomb attacks del 1919), si nascondeva immancabilmente la longa manus degli anarchici italiani.
La storia del movimento libertario in terra straniera è ora l’oggetto di un saggio compatto e puntuale – intitolato efficacemente Pane e rivoluzione – col quale Antonio Senta completa la ricerca che nel 2015 aveva dedicato alla storia dell’anarchismo in terra italiana (Utopia e azione, anch’esso pubblicato da Elèuthera). Un’integrazione più che opportuna dal momento che, come l’autore ribadisce più volte, la principale caratteristica di questo movimento fu il «transnazionalismo». Costretti a emigrare per ragioni economiche (il pane) e politiche (la rivoluzione) a partire dagli anni 70 dell’Ottocento, gli anarchici italiani non solo vissero sulla loro pelle l’esperienza del confine, ma coltivarono nel loro cuore l’idea di una patria universale. Nella diaspora anarchica, insomma, internazionalismo e patriottismo trovarono un insospettato punto d’incontro.
Stanno a dimostrarlo le vite stesse degli esuli libertari rievocati da Senta. Come il veterinario Giovanni Rossi che fondò in Brasile una «colonia socialista» nella speranza (rivelatasi poi vana) di realizzare una società libera ed egualitaria senza cedere a compromessi o ricorrere a insurrezioni. O il sindacalista Francesco Ghezzi, profugo in Urss, i cui «occhi febbrili» s’impressero nelle Memorie di un rivoluzionario quale Victor Serge, prima di chiudersi per sempre nel gulag artico di Vorkuta. O l’attivista Maria Luisa Berneri che, sulle orme dal padre Camillo, animò a Londra la rivista «Freedom» e l’editrice Freedom Press, divenendo un punto di riferimento imprescindibile dell’anarchismo internazionale postbellico. Che cosa accomuna figure disparate come queste? Senta lo spiega così: «Pervasi da un’idea di giustizia, partono armati di ideali, di pochi bagagli e di qualche libro, a volte di una pistola: quella idea di giustizia vogliono costruirla e le dedicano la propria vita, ognuno a proprio modo, con la parola e con l’azione, affrontando esili e galere, ferimenti e delusioni». Detto altrimenti: la fede anarchica.
Ma Pane e rivoluzione non è solo una storia di uomini e donne. Nelle sue pagine rimbombano torchi e frusciano fogli e, a lettura finita, viene da chiedersi cosa sarebbe stato questo movimento senza la stampa: da una testata di lungo corso come «Il Martello» di New York (il cui direttore, Carlo Tresca, fu ucciso nel 1943 di fronte alla sua sede) a un settimanale di approfondimento quale «La Battaglia» di San Paolo (che riuscì a instillare gli ideali anarchici perfino nei braccianti analfabeti delle azendas), fino a un foglio di propaganda come «L’Avanguardia libertaria» di Melbourne (che tenne vivo nella piccola comunità libertaria australiana lo sdegno per il caso di Sacco e Vanzetti, condannati a morte ingiustamente nel 1927).
Certo, considerando che gli esuli anarchici erano in larga parte poveri e analfabeti, si potrebbe dubitare della reale influenza della carta stampata sulle loro scelte politiche, ma l’autore ci ricorda che giornali, opuscoli e libri venivano spesso letti «intorno a un tavolo a voce alta», illuminandoci così su un’altra fondamentale caratteristica del movimento libertario: la socialità. Anche per questo dispiace non trovare più spesso nel volume citazioni di articoli, appelli, manifesti tratti da questa pubblicistica torrentizia. Ma è pur vero che oggi ci viene in soccorso la rete, e specialmente le emeroteche digitali della Biblioteca Gino Bianco e dell’Istituto Ferruccio Parri. Senza dimenticare, per quanto riguarda il lato statunitense di questa produzione, la splendida antologia di Francesco Durante, Italoamericana (vol. 2: 1880-1943, Mondadori, 2015, pp. 479-681).
Nobilmente anarchica la decisione dell’autore e dell’editore di distribuire il libro in regime di copyleft, ossia consentendone la libera riproduzione e diffusione.
Tommaso Munari Il Domenicale Sole 24 Ore 20 ottobre 2024
PANE E RIVOLUZIONE
Autore Antonio Senta
Editore Elèuthera
Anno 2024
Pag. 200
Prezzo € 17,00
Prefazione Mimmo Franzinelli