Roma, 1849: Tocqueville contro la prova democratica più avanzata del Risorgimento
Antonio Carioti Corriere della Sera 15 Dicembre 2019
C’è un aspetto paradossale e al tempo stesso tragico negli eventi che sconvolsero Roma nel 1849, osserva lo storico americano David I. Kertzer, studioso di vicende della Santa Sede: «Dopo la fuga di papa Pio IX a Gaeta, nel novembre 1848 — ricorda — fu eletta a suffragio universale maschile un’assemblea costituente che il 9 febbraio 1849 proclamò la Repubblica. Così lo Stato pontificio, il più arretrato tra quelli dell’Italia preunitaria, divenne teatro della più avanzata esperienza democratica del Risorgimento. Tuttavia (questo è l’aspetto tragico) a stroncare l’iniziativa dei patrioti con la forza fu un’altra Repubblica, quella francese nata dalla rivoluzione del febbraio 1848, che sulla carta professava gli stessi valori, ma aprì la strada alla restaurazione della teocrazia papale».
Per un americano poi c’è un altro elemento sorprendente. «Negli Stati Uniti Alexis de Tocqueville è conosciuto per le sue idee liberali e la sua acuta analisi del nostro sistema politico. L’autore del grande classico La democrazia in America fu un campione dei diritti costituzionali. Colpisce trovarlo nell’estate 1849 a Parigi, nelle vesti di ministro degli Esteri, costretto a giustificare l’aggressione contro la Repubblica romana in Parlamento».
L’aspetto più originale del libro di Kertzer Il Papa che voleva essere re (traduzione di Paolo Lucca, Garzanti) consiste proprio nell’attenzione che l’autore presta al versante francese degli eventi, scavando nelle relative fonti.
Ridiamo la parola a Kertzer: «A Parigi la rivoluzione aveva preso una piega moderata. Nel giugno 1848 era stata repressa una rivolta operaia, in dicembre era stato eletto presidente Luigi Napoleone Bonaparte, il futuro imperatore Napoleone III. Costui non amava affatto la teocrazia pontificia, anzi da giovane l’aveva combattuta, ma voleva tenersi buono l’elettorato cattolico e soprattutto temeva che si espandesse ulteriormente il dominio asburgico sull’italia, dato che gli austriaci in quella fase del 1849, dopo aver sconfitto a Novara e costretto all’esilio Carlo Alberto di Savoia, erano entrati in territorio pontificio, puntando su Bologna e Ancona».
La Francia, continua lo storico americano, non poteva rimanere a guardare: «Il governo mentì all’assemblea costituente di Parigi, disse che avrebbe mandato un contingente militare a Roma per garantire i diritti della popolazione di quelle terre. Ma in realtà voleva controbilanciare l’influenza austriaca, sia pure nell’ambito di un accordo sotterraneo con Vienna. Fu una mossa dettata dalla politica di potenza e venne infatti vissuta come un’aggressione dai governanti della Repubblica, che non volevano ingerenze straniere».
In un primo tempo, a fine aprile del 1849, i francesi furono respinti da Garibaldi sotto le mura della città eterna: «La successiva tregua — osserva Kertzer — offrì una speranza alla Repubblica romana. Se alle elezioni legislative francesi, in maggio, si fosse affermata la sinistra, forse Parigi avrebbe assunto un atteggiamento diverso. Ma vinse la destra e Luigi Napoleone ruppe gli indugi, anche perché nel frattempo gli austriaci avevano preso Bologna e Ancona». Dopo un mese di aspri combattimenti, la Repubblica romana si arrese. «Ma come ultimo atto — ricorda Kertzer — approvò una Costituzione democratica molto avanzata, che aboliva i titoli nobiliari, sanciva tutte le libertà politiche, separava lo Stato dalla Chiesa. Un principio, quest’ultimo, da cui resta lontana anche l’italia odierna per via del sistema concordatario. Più in generale l’aspetto anticlericale del Risorgimento rimane un po’ in ombra nel vostro Paese. Infatti il 20 settembre, data che nel 1870 segnò la fine del potere temporale dei Papi, non viene più celebrato».
Ma torniamo al 1849: «Abbattuta la Repubblica all’inizio di luglio, i francesi avrebbero voluto che Pio IX accettasse di mantenere in vigore le riforme approvate in precedenza. Nella prima fase del suo pontificato si era distaccato dalla politica reazionaria del suo predecessore Gregorio XVI, aveva amnistiato i detenuti politici e concesso una Costituzione, attirandosi le critiche dei cardinali più conservatori. Ma dopo l’uccisione il 15 novembre 1848 del suo primo ministro Pellegrino Rossi, un’altra figura tragica che aveva cercato di conciliare istanze patriottiche e sistema teocratico, il Papa era fuggito a Gaeta e aveva assunto posizioni intransigenti, sulle quali rimase arroccato nonostante le pressioni di Tocqueville, divenuto ministro degli Esteri francese all’inizio di giugno del 1849».
Così Parigi si trovò in grande imbarazzo: «Dinanzi all’intransigenza di Pio IX, i francesi avevano due opzioni: impedire al Papa di tornare a Roma, oppure ritirare unilateralmente le truppe dalla città. Ma c’era il rischio di una ripresa rivoluzionaria, o di uno scontro con l’Austria che poteva sfociare in una guerra europea. Così Luigi Napoleone sostituì Tocqueville e accettò la restaurazione della teocrazia».
Si tornò al vecchio oscurantismo, nota Kertzer, con significativi tratti antisemiti: «Tutte le cariche pubbliche ridivennero monopolio del clero, esentato da ogni imposizione fiscale. E per riguadagnare il consenso della popolazione le autorità pontificie additarono come colpevoli di ogni sventura gli ebrei, per i quali ripristinarono le pesanti restrizioni abolite dalla Repubblica. Nell’ottobre 1849 ci fu una retata nel ghetto, le abitazioni furono perquisite dai gendarmi pontifici e molti abitanti arrestati con l’accusa di aver acquistato oggetti saccheggiati durante la fase rivoluzionaria. Ancora una volta gli ebrei venivano usati come capro espiatorio».