Paolo Conti Corriere della Sera 9 novembre
Alla fine Goffredo Mameli, poeta e scrittore morto a nemmeno 22 anni combattendo per la gloriosa Repubblica Romana nel luglio 1849, si è preso una bella rivincita: il suo inno verrà studiato nelle scuole. Destino condiviso col maestro Michele Novaro, altro patriota che in vita non trasse alcun beneficio economico dalla composizione musicale del 1848. La rivincita di Mameli e Novaro riguarda molti fronti. Il primo, ovviamente, è quello leghista. L’universo bossiano non ha mai digerito il passaggio sulla Vittoria «schiava di Roma». Figuriamoci. Un pallino di Mario Borghezio: «Va’ pensiero sì, che è poesia padana». Dimenticando la nascita genovese di Mameli e, soprattutto, il tema verdiano: cioè il popolo ebraico deportato dal re babilonese Nabucodonosor II. Come scrisse tempo fa Giuliano Zincone: roba mediorientale, insomma. L’altra rivincita è verso la Nazionale di calcio, per decenni incapace (generazione dopo generazione) di cantare l’inno nazionale davanti alle telecamere prima degli incontri internazionali, vittima di un incomprensibile analfabetismo collettivo. Le cose oggi sono migliorate ma appena nel 2001 la questione era faccenda incandescente. Franco Carraro, eletto presidente della Federcalcio, dichiarò: «Incontrerò Trapattoni, gli azzurri imparino l’inno di Mameli e lo cantino ai Mondiali». All’Olimpiade 2012 comunque l’inno era stampato all’interno delle tute degli atleti. Infine, l’ultima soddisfazione: i distinguo di poeti e musicisti. Giorgio Moroder nel 1994 acquistò un’intera pagina del Corriere della Sera per esortare i lettori a scrivere un testo per un nuovo inno da lui già composto. Vent’anni fa Ennio Morricone definì l’opera di Novaro «una marcetta paesana, forse il brano più brutto d’Europa». Ma nel frattempo ha cambiato idea, visto che nel 2011 lo eseguì al concerto del 1° maggio. Comunque da ieri l’inno di Mameli è materia di studio. Un poeta morto a 22 anni per una grande causa, cioè l’Unità d’Italia, avrà sicuramente molto da dire ai nostri figli, così poveri di passioni e di ideali.