Ernesto Galli Della Loggia Corriere della Sera 11 maggio
Vige in Italia, per quel che riguarda l’istruzione scolastica, una singolare schizofrenia. Un giorno sì e l’altro pure tutto il mondo politico, dal presidente del Consiglio all’ultimo assessore, e al loro seguito i mass media all’unisono, sottolineano la sua assoluta importanza, la sua crucialità. Poi però sembra che in pratica i problemi dell’istruzione si riducano — oltre a qualche generico allarme per i risultati solitamente non brillantissimi ottenuti dagli studenti italiani nei confronti internazionali (vedi valutazioni Pisa) — a niente altro che all’immissione in ruolo delle decine di migliaia di aspiranti insegnanti. Cosa certo importante, ma forse non meno di qualcun’altra, circa la quale l’interesse è invece minimo. Per esempio il contenuto di molti programmi, e di conseguenza i valori diciamo così generali a cui l’insegnamento delle nostre scuole s’ispira e che cerca a sua volta di trasmettere.
I tre quesiti di storia ai quali sono stati sottoposti i candidati del recente «concorsone» di cui tanto si è parlato nei giorni scorsi, consente di farsi un’idea abbastanza precisa — sul versante della preparazione degli insegnanti — di quella che il ministero dell’Istruzione e i suoi funzionari considerano la prospettiva con la quale i giovani italiani devono essere invitati / addestrati a guardare al mondo. Nel primo di tali quesiti il candidato professore è invitato a progettare per una classe di scuola media la lettura di alcuni testi con relativi collegamenti tra i medesimi «sul tema del diverso, il profugo, l’estraneo».
Nel secondo l’esaminando è chiamato a delineare lo schema di una lezione di due ore «sul tema della demografia»: così, sulla demografia in generale, senza alcuna indicazione di tempo e di luogo. Infine, il terzo quesito lo invita, sempre per la scuola media, a «progettare una unità didattica di due ore sulla costituzione italiana». Questa è dunque l’idea della storia universale che ha nella testa il Miur e che viene indirettamente ma autorevolmente suggerita alla scuola italiana. Un’idea della storia che non sembra molto interessata a che un adolescente italiano, uscendo dal ciclo dell’istruzione obbligatoria, abbia qualche nozione, che so, di che cosa siano il Protestantesimo o l’Islam e di che cosa abbiano voluto dire le loro vicende, al fatto che egli sappia dell’esistenza di una Rivoluzione francese o di una cosa chiamata capitalismo, o che ci sia stata una Prima Guerra mondiale — al Risorgimento o all’Unità d’Italia non oso neppur pensare. No, ai suoi insegnanti il ministero dell’Istruzione della Repubblica — ai cui vertici, non bisogna mai dimenticarlo siede un sottosegretario democrat esaltatore a suo tempo del rilevante contributo educativo apportato alla sua formazione dalle occupazioni scolastiche — il ministero dell’Istruzione, dicevo, fa capire che altre sono le cose che contano e alle quali essi debbono soprattutto porre mente. Per l’appunto, al «diverso» nelle sue varie accezioni e alla Costituzione (anche se mi chiedo quale: quella «più bella del mondo» o quella in edizione Renzi?).
Immagino il risultato nelle aule scolastiche. Quasi sempre, ci si può scommettere, il politicamente corretto più desolante, il più piatto conformismo buonista in obbedienza al vigente discorso pubblico ufficiale. È significativo infatti che nell’ottica del Miur non si invitino i futuri insegnanti a pensare a letture sulle migrazioni come grande fatto storico, sulle sue conseguenze nei secoli, ai giganteschi problemi connessi. Forse a qualcosa del genere si pensava anche, ma con questo taglio il discorso rischiava di risultare troppo spinoso, ed ecco allora che si preferisce parlare, invece, di letture sul «diverso, il profugo, l’estraneo». Insomma, le tragedie del mondo vengono espulse dalla storia e dalla sua dura realtà (e si pensi che si tratta di quesiti per la classe di concorso di storia!) per venire cloroformizzate dalle tranquillanti disquisizioni della sociologia edificante, dai fervorini etno -antropologici intrisi di buoni sentimenti. Consegnate al tema del «profugo» e dell’«estraneo», appunto: mentre la demografia è chiamata a conferire al tutto un opportuno tocco di scientificità.
Anche l’idea di fare della Costituzione, tra tutti gli argomenti possibili, l’oggetto di un quesito per una prova di storia obbedisce alla medesima volontà di una destoricizzazione di fatto della scena contemporanea. In questo caso a vantaggio di un approccio non più sociologico ma di tipo giuridico astrattamente prescrittivo ed evocando uno strumento, la Costituzione, anche in questo caso, come si sa, carissimo al più bolso discorso pubblico ufficiale. Impossibile comunque non collegare i due quesiti, e non leggerli come l’implicita affermazione di un presunto obbligo costituzionale all’accoglienza del «profugo», dell’«estraneo», eccetera eccetera.
È con questi criteri interamente schiacciati sul presente, su un’immediata contemporaneità declinata eticamente, è con questa idea di storia che con la storia in verità non ha più quasi nulla a che fare, che i nuovi insegnanti e per loro tramite i giovani italiani dovrebbero addestrarsi a stare nella loro epoca. Cioè ad affrontare un futuro di cui ignorano ogni passato, armati di una benevola sociologia, di appropriate nozioni demografiche, e naturalmente di sani principi costituzionali. Con tali premesse bisogna solo augurarsi che riescano a uscirne vivi.