Nel giorno della memoria della Shoah, come non ricordare Santa Marta?
Riccardo Carlo Geri *
Era il tempo della ultima guerra, anni bui, quando noi ragazzi, un centinaio, cinque classi, dai sei ai dieci anni abbiamo passato l’infanzia a Villa Santa Maria. Chi cinque anni; io tre. Le suore dell’ordine di Santa Marta hanno supplito le mamme: chi non le aveva, e chi le aveva come me, ma impegnate nel lavoro; Suor Amedea, suor Marta, suor Lidia, e alcune altre che la memoria vede ma delle quali non ricordo il nome, furono le nostre mamme.
Ci sistemavano alla meglio la mattina con un grembiulino a quadretti celesti per il collegio, o con quello nero per la scuola; e, lavato il viso, facevamo la fila per farci pettinare. Il collegio era la nostra famiglia. Da questa famiglia senza padre, arrangiata, si andava alla scuola elementare Desiderio da Settignano, come tutti i ragazzi del paese. In fila sulla via Settignanese con il vento o con la pioggia, senza ripari, o il bel sole a primavera.
Il riscaldamento era fatto con le stufe a legna; e a scuola veniva il custode con il corbello a caricarle. Avevamo i pantaloni corti e qualche gelone ai ginocchi o alle mani, anche con i mezzi guanti, e alle labbra. Il mondo di allora era così. Abbiamo pregato tanto in quegli anni: tante messe mattutine, prima della colazione e della scuola, tante funzioni serali prima di andare a letto, e in estate con il sole, nei cameroni dai tanti lettini affiancati come tanti fratelli; e si dormiva subito. Tanta ricreazione su quel piazzale panoramico, dal quale si vedeva la città intera, con la buona stagione. In inverno, nella loggia vetrata all’ultimo piano e con la terrazza sulla via Settignanese dalla quale si vedeva arrivare il filobus che sostava a una fermata davanti all’istituto. Qui scendevano i parenti, per chi li aveva, e che si incontravano nel parlatorio vicino all’ingresso e alla cappella al pianterreno, nei giorni di festa.
Si giocava con nulla: qualche pallina di terracotta o qualche sassetto rotondo preso nel giardino del grande cedro che decorava la villa da Sud e che ora non c’è più. Si guardava quello che le suore leggevano: la Domenica del Corriere con le copertine di Beltrame che ci vedevano sempre o vincitori o in imprese eroiche in quella guerra che sapevamo che c’era. Non si cantavano le canzoni del regime inculcate ai ragazzi della Gioventù del Littorio. Si cantava il Tantum Ergo e si recitavano in coro il rosario serale e le litanie a Maria Santissima, tutto in latino; e il canto comune piaceva. Niente parate e niente monture.
Il nostro pomeriggio era fatto di doposcuola nelle pluriclassi; e quando uno aveva fatto i compiti che suor Marta riguardava con severità, di una ricreazione in cortile. Allora: chiacchere, corse e salti e qualche gioco con i sassetti come ho detto e niente altro; ma soprattutto aria buona.Per merenda una fetta di pane casalingo calmava la fame prima della cena. Non sapevamo della tessera annonaria e che il collegio godeva alcuni privilegi: tante minestre in brodo, e poi un pezzo di lesso, pane casalingo e tante patate lesse. Non abbiamo patito la fame.
La guerra ci ha colto alla fine del ’43. Una notte ci ha svegliato l’ululato delle sirene dell’allarme. Le suore ci hanno fatto alzare velocemente; e tutti siamo andati alla finestra. Da un libro di ricordi:
Il cielo è illuminato a giorno. Sono i bengala dei bombardieri inglesi che passano sulla città… Dove andranno? Non succede niente ma si instaura in noi un senso di paura.
Una mattina suona di nuovo l’allarme. Scendiamo tutti al piano di sotto della villa dove ci sono i magazzini che danno sul giardino del grande cedro. Si sente un rombo cupo continuo, intenso, che si fa sempre più vicino. È quello dei bombardieri che si avvicinano. Un rombo che fa gelare il sangue. Ora… ora sono vicini.
Scoppi tremendi di esplosioni… terrore! Momenti di impressione inenarrabili. Ci guardiamo smarriti. Siamo in tanti in questo stanzone. Un compagno davanti a me vedo che diventa bianco e comincia a scivolare dalla panca. Le suore accorrono. Pregate bambini. Qualcuno piange. ‘Ave Maria piena di grazia.’ Si inizia il rosario.
È il 25 settembre del 1943, alle ore 11.25 una formazione di bombardieri ha bombardato l’area ferroviaria del campo di Marte. Nessuna bomba raggiunge l’obbiettivo, crollano invece edifici circostanti in un vasto raggio e si avranno i primi 300 morti.
Alla fine dell’anno ‘43, in collegio c’è una novità: arrivano un gruppo di bambini francesi di varie età. Non parlano italiano e non vengono a scuola con noi. Con loro giochiamo e ci intendiamo senza difficoltà. La vita comune è uguale per tutti. In fila ordinatamente per entrare al refettorio e dopo comune la ricreazione nel piazzale e nel giardino. Per il doposcuola formano una classe. Non avverto che loro sono assenti alle funzioni religiose.
Padre Ricotti domenicano di San Marco, Giusto delle Nazioni, accoglieva e sistemava ebrei in fuga dalla Francia in case private o in conventi. Memoria che sta in E quindi uscimmo a riveder le stelle, testo a cura di Barbara Trevisan in collaborazione con il Comune di Scandicci. Il Corriere fiorentino del 24 settembre 2013, con uno scritto di Mario Bonciani su Gino Bartali, Giusto delle Nazioni, ricorda come l’Istituto di Santa Marta di Settignano protesse e nascose diecine di bambini ebrei.
Sono passati molti anni da quando suor Marta, vecchissima, è stata insignita di una onorificenza al valore della Resistenza per aver salvato dalla deportazione e dallo sterminio un gruppo di bambini ebrei francesi provenienti dalla Francia occupata dai tedeschi attraverso non so quali peripezie. Ne dette notizia il giornale La Nazione. Sono onorato di averla conosciuta.
Mercoledì 27 gennaio 2021, giorno della Memoria della Shoah, è bene ricordare questi avvenimenti in modo che guardando la bellissima e radiosa villa di Santa Maria, non dimentichiamo che in questi luoghi hanno trovato protezione tanti bambini ebrei salvati dalla barbarie.
* Riccardo Carlo Geri. Fiorentino ultraottantenne che ha frequentato da allievo interno la Villa di Santa Maria
Villa Santa Maria oggi
La Nazione, cronaca di Firenze del 22 gennaio 2020: VIA D’ANNUNZIO, CASE NELL’ANTICO CONVENTO. Un piano di recupero approvato dalla giunta. Tre ville abbandonate: Villa Santa Maria, Villa Elena e Villa degli Angeli saranno trasformate in appartamenti.