di Francesco Maria Greco, Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede. Articolo tratto Corriere della Sera del 27 settembre 2011.
Il 150° anniversario di vita unitaria cade in uno degli anni più complessi della storia della Repubblica, segnato da un riacutizzarsi della crisi economico-finanziaria e da un inasprimento della dialettica politica. Proprio in questa ricorrenza, paradossalmente, stiamo assistendo — secondo alcuni — ad un indebolimento delle due dimensioni che animarono nell’Ottocento gli artefici del nuovo Stato: lo slancio etico alla base dell’unificazione del Paese, come processo storicamente e moralmente ineluttabile, e la spinta identitaria, ma radicatasi successivamente in maniera irreversibile. Le stesse componenti, etica ed identitaria, ispirarono l’operato dei Padri della Repubblica nella ricostruzione postbellica. Che questo deficit etico-identitario esista o meno, abbiamo comunque registrato da qualche tempo un particolare sostegno della Santa Sede e della Chiesa Italiana nella salvaguardia delle due dimensioni. Senza alcuna ingerenza, tali istituzioni ci hanno più volte sollecitato a perseguire la via del «bene comune» rafforzando il fattore morale nelle relazioni pubbliche; e attraverso il bene comune si rinvigorisce anche il senso di appartenenza alla comunità nazionale. E’ questo filo rosso fra identità ed etica che lega il messaggio di Benedetto XVI — vescovo di Roma e primate d’Italia — per i nostri 150 anni, al messaggio universale espresso nelle encicliche Deus caritas est e Caritas in veritate: ogni decisione politica o economica non può prescindere dalla dimensione morale. Lo stesso vale per le reiterate dichiarazioni della Conferenza Episcopale Italiana, componente rispettosa ma estremamente dinamica della nostra società civile. Le parole del cardinale Bagnasco nella Messa solenne per il 15° anniversario non suonavano solo come un inno di ringraziamento («non improntato a retorica o nostalgia ma alla consapevolezza che la Patria che ci ha generato è una preziosa eredità e insieme un’esigente responsabilità»), ma soprattutto come un invito a «superare le contingenze».Difficile immaginare una partecipazione più sincera e visibile di Oltretevere alle nostre celebrazioni con l’evidente finalità di sostenere l’unità nazionale del Paese e la sua coesione economico-sociale. Il prologo si era avuto un anno fa con la partecipazione del cardinale Bertone a Porta Pia, insieme al presidente della Repubblica, ai 140 anni di Roma capitale. Montanelli e papa Wojtyla, che non erano storici di professione, sostenevano tesi opposte: l’uno vedeva nella Chiesa un freno a una solida identità nazionale e l’altro individuava i primi fermenti della nascente nazione italiana proprio nella religione cristiana, quando il cuore del Cristianesimo si spostò da Oriente a Roma. Sergio Romano ricorda come cattolici e sinistre, le due forze prevalenti nel dopoguerra, siano stati contrari o marginali nel processo unitario ma è anche vero che la contrapposizione Stato-Chiesa dopo il 1861 ebbe luogo più a livello istituzionale che di società. I cattolici furono infatti dinamici nella sfera sociale del «Paese reale» (istruzione, assistenza, sanità) contribuendo così a «fare gli italiani».
La sera del 27 settembre all’Ambasciata presso la Santa Sede, l’Italia (Stato e Regioni, amministrazioni, partiti, informazione) ha dato atto ai vertici vaticani e ai vescovi italiani di esserci stati attivamente vicini in un anno in cui celebrazioni e preoccupazioni si sono inseguite: lo ha fatto in modo scevro da confessionalismo ma anche da ipocrisie laiciste. E speriamo che noi, eredi di un popolo antico e molteplice capace di inventare i grandi concetti ecumenici dell’Impero e della Chiesa, ma al tempo stesso di perdersi in «guerre fra campanili», possiamo imparare a trarre forza dalle nostre diversità.