Aldo Cazzullo Corriere della Sera 24 febbraio
Ma quando nella storia italiana si è impedito a un professore di fare il proprio mestiere, perché ebreo negli anni Trenta o perché non conformista negli anni Settanta, è sempre stato segno che le cose si stavano mettendo male. E anche senza evocare i precedenti di violenza fisica, che purtroppo ci sono stati, basta pensare alle intimidazioni — come i tentativi di interrompere le presentazioni dei libri di Giampaolo Pansa o le molotov contro la casa di Renzo De Felice — per comprendere che si tratta di un pericolo che ci riguarda tutti, come comunità nazionale e come appassionati alla vita pubblica, e quindi richiede la reazione di tutti, non solo degli allievi di Panebianco che coraggiosamente si sono ribellati ai facinorosi.
La libertà di insegnamento è sacra e va tutelata sempre e comunque. A maggior ragione perché il tema del corso era la pace e la guerra. Si può dissentire dalle tesi di Panebianco, ma è impossibile dargli torto su un punto: l’Europa in generale, e l’Italia in particolare, faticano a pensare la guerra. È ormai evidente che le illusioni del 1989, quando un pensatore oltretutto vicino alla destra americana come Francis Fukuyama parlò di «fine della storia», sono state spazzate via.
Eppure, proprio mentre il Papa mette in guardia sulla «terza guerra mondiale», il nostro Paese inscena una fiction irenica. Preferisce fingere di continuare a credere alle magnifiche sorti e progressive del pacifismo; come se Monaco 1938 non avesse insegnato nulla. Di Churchill e di De Gaulle nell’Europa di oggi non c’è traccia, mentre vediamo bene dove sono i Chamberlain e i Daladier: dappertutto. Più che una guerra in senso tradizionale, quella che stiamo affrontando è un’epoca. Non sappiamo quando finirà, né come. Ma di una cosa siamo certi: coloro che intendono entrare nella nuova epoca con le orecchie tappate per non ascoltare gli avvertimenti sgraditi, non avranno mai gli strumenti per comprendere il tempo che ci è dato in sorte; e non saranno bravi studenti, né un domani bravi professori, né soprattutto cittadini utili agli altri.