Lettere al Corriere della Sera 23 marzo 2017
Caro Aldo,
ho notato con rammarico che nessuno si è ricordato che il 18 marzo iniziavano le Cinque Giornate di Milano. Anni fa venivano messe le bandierine sui tram e solerti maestre facevano scrivere temi appassionati agli scolari, oltre a qualche gita al museo del Risorgimento in via Borgonuovo. Adesso vedo che è calato un oblio che riguarda un po’ tutti. Ed è un vero peccato perché fu un episodio importante per la nostra città e per l’Italia: l’insurrezione fu davvero popolare e si manifestò quella voglia di indipendenza dalla secolare dominazione straniera che gettò i semi del Risorgimento. Tutti parteciparono alla rivolta, dai popolani ai borghesi ai preti, senza dimenticare il contributo delle donne. Poi arrivarono i Savoia che riuscirono anche a perdere la prima guerra di indipendenza nonostante gli austriaci fossero in fuga e molto scornati. Alberto Sbarra, Milano
Caro Alberto,
Lei ha ragione: le Cinque Giornate furono una straordinaria prova dell’amore dei milanesi per la libertà. Si è discusso se l’obiettivo fosse l’indipendenza della Lombardia, o l’unificazione nazionale. E certo dietro le quinte si confrontarono due partiti: quello democratico, ostile ai Savoia, e quello moderato, che guardava alla loro forza militare come all’unico modo per consolidare la libertà conquistata sulle barricate. Ma il sentimento che animò i rivoltosi era uno solo: e l’attaccamento fortissimo al Comune non era in contrasto con lo slancio verso la patria italiana, che grandi milanesi di nascita o di adozione come Manzoni e Verdi avevano già espresso nelle loro arti. Sono in disaccordo con lei, caro Alberto, solo sulla critica — che trovo ingenerosa — all’esercito piemontese e alle migliaia di volontari accorsi da tutta Italia per combattere la prima guerra di indipendenza. Erano contadini, artigiani, studenti. Le loro condizioni erano durissime. Venivano date loro scarpe uguali: era l’uso a modellare la destra e la sinistra. Non avevano tende: «serenavano», cioè dormivano all’addiaccio. Non esistevano servizi sanitari: si moriva o si veniva amputati per ferite anche banali. Di fronte trovarono i cannoni dell’esercito della più grande potenza dell’epoca. Oggi i loro nomi e i loro sacrifici non sono riconosciuti da nessuno; vanno di moda i briganti. Aldo Cazzullo