Lettere a Sergio Romano Corriere della Sera venerdì 18 settembre
LE TOMBE DEI SAVOIA. TRE CASI DIVERSI
Da molti anni i discendenti dell’ex casa regnante italiana e associazioni monarchiche varie conducono una battaglia per il rientro in Italia delle salme degli ex re morti in esilio. Se da un lato questo potrebbe essere la giusta conclusione dopo 70 anni, la cosa non è esente da rischi. In una Nazione dove il passato non passa, il rientro della salma di un re, ma soprattutto la tumulazione nel Pantheon come vorrebbero i discendenti di una dinastia troppo compromessa col fascismo, creerebbe nuove forti tensioni e alcune forze politiche si sono già dette contrarie. A mio modesto avviso, se davvero si vuole riportare le salme in Patria, meglio sarebbe optare per una sepoltura privata, senza costi per lo Stato. Lei che ne pensa?
Fabio Todini
Caro Todini,
Esistono almeno tre casi che dovrebbero essere trattati con criteri diversi. Il primo è quello del Pantheon. Se alcune associazioni monarchiche vorrebbero trasferirvi le salme di Vittorio Emanuele III e Umberto II, altri sostengono che occorrerebbe rimuoverne quelle di Vittorio Emanuele II e Umberto I. A me sembra che le due ipotesi siano egualmente sbagliate. Disseppellire due sovrani che hanno avuto un ruolo nella storia dell’unità nazionale (Umberto combatté a San Martino nel 1859 e a Villafranca nel 1866) sarebbe ora un gesto inutilmente polemico. Le due bare del Pantheon sono ormai soltanto un documento storico che non minaccia l’esistenza della Repubblica. Le vendette postume sono inutili e controproducenti. Il secondo caso è quello di Vittorio Emanuele III, morto in esilio ad Alessandria d’Egitto il 28 dicembre 1947 e, come ho ricordato in altre circostanze, sepolto nella maggiore chiesa cattolica della città. Riportare la salma in Italia un anno dopo la proclamazione della Repubblica, in un clima caratterizzato ancora da un forte revanscismo monarchico, sarebbe stato imprudente. Oggi, 68 anni dopo, in un clima completamente diverso, sarebbe una manifestazione di orgoglio nazionale. Nel bene e nel male Vittorio Emanuele III ci appartiene. Passò più di tre anni in zona di guerra fra il 1915 e il 1918, assicurò gli Alleati, dopo Caporetto, che l’Italia avrebbe continuato a combattere. Fu certamente il sovrano che assecondò il regime fascista e controfirmò le ignobili leggi razziali del 1938. Ma siamo sicuri che abbia sempre sostenuto il regime contro la volontà della maggioranza dei cittadini italiani? Dobbiamo rimproverargli la fuga di Pescara, ma non dovremmo dimenticare che seppe, in un momento cruciale, riappropriarsi delle sue prerogative e sfiduciare Mussolini. Il luogo in cui dare sepoltura al terzo re d’Italia esiste già. Come ho già scritto, è la cripta dei Savoia nella Basilica di Superga sulle colline di Torino. La chiesa fu voluta agli inizi del XVIII secolo dal Duca Vittorio Amedeo II, futuro re di Sicilia, in segno di gratitudine per la vittoria sui franco-spagnoli che avevano assediato Torino. Nella sua cripta sono sepolti, insieme a Vittorio Amedeo II, Vittorio Emanuele I e Carlo Alberto, morto in esilio a Oporto il 28 luglio 1849, ma trasportato a Genova in ottobre e sepolto a Superga. Il caso di Umberto II è diverso. Come Carlo Felice, re di Sardegna dal 1821 al 1931, il «re di maggio» è sepolto nell’abbazia di Hutecombe, un monastero nei pressi di Aix-les-Bains che appartiene ai Savoia dall’Alto Medioevo. Se il ritorno della salma in Italia diventasse possibile, spetterebbe alla famiglia scegliere fra Hautecombe e Superga.
Sergio Romano