Un «compromesso storico» nel ‘500 condizionò il Sud. Articolo di Giuseppe Galasso dal Corriere della Sera del 27 settembre 2011.
In un recente convegno presso il Biogem di Ariano Irpino sulle origini del dualismo italiano mi è accaduto di ricordare come, pur con precedenti più antichi, una divisione dell’Italia in due grandi regioni storiche si produca solo con l’arrivo in Italia dei Longobardi nel 568, che diede davvero luogo a una crescente diversità fra le due aree. Alla fine, fra il Mille e il 1300 il Sud si qualificò per la sua economia agraria, il Nord in senso più manifatturiero, mercantile e finanziario.
Il dualismo non impedì, però, il formarsi di un legame unitario della penisola. La complementarità tra le due Italie stabilì fra loro un rapporto di «scambio ineguale» nel duplice contesto mediterraneo ed europeo. Il «sistema italiano» è stato, ed è, infatti, come un edificio con molte porte e finestre aperte e con tante relazioni con l’esterno influenti anche sui rapporti interni al «sistema».
Il dualismo comportò una condizione di subalternità del Sud, ma non una sua assenza di attività e di iniziative. Già per svolgere la sua parte subalterna l’area più debole ha dovuto avere attività e iniziative, per cui è potuta stare sul grande mercato con un’offerta interessante. Né basta. Esposto a tutti i venti delle vicende storiche, il dualismo italiano ha avuto fasi alterne di espansione o recessione; e non è neppure il contrasto frontale di due aree omogenee, con tutto il negativo da un lato e il positivo dall’altro, poiché in ciascuna area vi sono zone di assai varia condizione. E’, piuttosto, il mobile intreccio di un mosaico policromo bipartito, con una forte prevalenza di toni opposti al Nord e al Sud.
Le ragioni del dualismo sono state molteplici. A partire dal primato commerciale che dopo il Mille le città del Nord acquisirono nel Mediterraneo e in Europa. Un tempo si vedeva nella mancata partecipazione meridionale alle Crociate la ragione prima della disparità fra Nord e Sud. L’altra, e prevalente, spiegazione si riferiva all’introduzione nel Sud del regime feudale, a opera dei Normanni, nell’XI e XII secolo, mentre al Nord si affermavano i Comuni.
Nessuna di queste due tesi persuade più. Molte città italiane fiorirono senza partecipare alle Crociate. D’altra parte, pur in un giudizio critico sul feudalesimo nella storia civile del Sud, si è acquisita della realtà feudale meridionale un’idea più complessa, con aspetti anche di promozione, e solo dal Cinque o Seicento in poi di più forte remora sociale. A sua volta, gran parte della società si è adagiata, nel Sud, nelle ampie pieghe del sistema feudale, con una reciproca compenetrazione di interessi, che ha perpetuato mentalità e comportamenti feudali anche dopo la scomparsa del feudalesimo.
Il feudalesimo non è stato, inoltre, protagonista esclusivo. Preminente rispetto alla sua fu, in complesso, la parte della monarchia, che con esso combatté una guerra plurisecolare per il controllo dello Stato e della vita sociale, risoltasi solo nella prima metà del ‘500. Allora, però, il successo della monarchia fu pagato, anche nel Sud come in Europa, con una sorta di «compromesso storico», che alla feudalità conservò un primato sociale e ampi privilegi.
Maggiore fu la parte della monarchia nella storia del Sud per la gestione delle risorse del Paese, poiché i suoi bisogni di capitali liquidi la resero sempre più dipendente dalla grande finanza del tempo. Ciò portò a favorire, in cambio delle risorse ottenute, la penetrazione delle potenze mercantili estere nel Paese, con privilegi e vantaggi che ne resero più facile e più rapida la conquista del mercato meridionale, già nella logica economica del tempo. Nel ‘300 di questa penetrazione furono protagonisti i mercanti toscani; poi, nel ‘500 e ‘600, i genovesi. Già nel ‘400 si diffuse, perciò, il luogo comune per cui si diceva che il Paese abbondava di ogni tipo di risorse, ma gli stranieri vi si arricchivano e i meridionali, per la loro infingardaggine, restavano poveri: uno stereotipo durato tenace nei secoli (ma i mercanti sfruttavano, e anche, però, stimolavano l’economia locale).
Col declino post-rinascimentale dell’Italia e quello del Mediterraneo quale mare dei traffici mondiali le cose peggiorarono. Le grandi potenze economiche moderne, francesi e inglesi in testa, soppiantarono gli italiani nel primato euromediterraneo. La complementarità del sistema italiano, pur continuando con minore intensità, venne disarticolata nella subalternità di tutta l’Italia verso i Paesi transalpini e si ebbe una sorta di regionalizzazione dell’economia peninsulare.
Ciò vuol dire che tutto il divario accumulato fra le due Italie dal ‘300 al ‘600 svanì, e che la loro condizione nel 1861 era più o meno la stessa? La ricerca storica fa riconoscere che il dualismo del Paese preesiste al 1861, ma che da allora si sono avute condizioni per cui la precedente dualità è diventata la «questione meridionale». Bisogna, perciò, distinguere fra loro il dualismo di prima e quello di dopo l’Unità, senza confonderli e senza tagli chirurgici, salvandone sia la continuità che le novità e le rotture dal 1861 in poi.