Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del populismo. Kark Marx ( nel 2014)
Come un fiume carsico, soprattutto in tempi di grave crisi economica, il fenomeno politico del populismo, sia di destra che di sinistra, riaffiora periodicamente nelle società di ogni stato democratico e si afferma prepotentemente al momento delle consultazioni elettorali vagheggiando palingenesi morali e civili.
I partiti populisti si caratterizzano per l’appello costante alle masse e per il notevole potere personale e carismatico del leader, per l’attacco alle oligarchie politiche ed economiche e l’esaltazione delle virtù naturali del popolo.
La rivolta populista ha fatto sentire il suo peso nelle urne nelle recenti votazioni per il parlamento europeo in ogni paese del vecchio continente con parole d’ordine contro l’unità politica ed economica dell’Europa.
Con queste elezioni è forse entrato in crisi il progetto di uno stato europeo, nato nel 1941 con il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, di Ernesto Rossi e di Eugenio Colorni, che doveva metter fine ai conflitti tra le nazioni, fondando appunto una forza sovranazionale, in cui le ricchezze avrebbero dovuto essere redistribuite e il governo si sarebbe deciso sulla base di elezioni a suffragio universale?
Quel progetto invero non è mai stato attuato e la proposta qualche anno fa di legittimare politicamente l’Unione Europea con una costituzione, da approvare tramite referendum, è stata bocciata con i no della Francia e dei Paesi Bassi.
Esiste solo di fatto un’unione economica, oggi di ben 28 nazioni, dove ovviamente in nome non di astratti ideali politici ma delle concrete leggi di un mercato ormai globalizzato si è imposta una tecnocrazia delle banche e della finanza che detta le sue regole al parlamento europeo di Bruxelles. Ed è proprio questa deriva economicistica dell’unità europea il tema più forte delle mobilitazioni delle forze politiche euroscettiche e populiste.
Ma le ragioni della mancata unità politica dell’Europa sono altre.
I padri fondatori che auspicavano l’estinzione progressiva degli stati nazionali all’ interno di un sola nazione europea non hanno tenuto conto delle ragioni storiche e dei conflitti che hanno portato alla formazione dei singoli stati nazionali ( in Italia solo da due secoli con il processo risorgimentale!), anzi, eterogenesi dei fini, hanno favorito l’affermazione di movimenti localistici e regionalistici, dimenticandosi che un popolo può esistere come entità politica solo se esiste come identità di suolo, di nascita, di memoria storica, di appartenenza nazionale, sia come idealità, sia come sentimenti.
Pertanto se non si tengono presenti queste considerazioni preliminari non si può arrivare a costruire un vero Stato europeo, federale e decentrato con alcune leggi comuni, vedi per esempio la questione dell’immigrazione e dei confini nazionali, una questione che non può essere lasciata alla discrezionalità politica dei singoli stati.
Così anche il mercato finanziario globalizzato, con le sue chance e i suoi pericoli, travalica le frontiere e deve essere fronteggiato da una politica comunitaria con una moneta unica.
La scuola, fattore fortemente identitario nella costruzione di una coscienza nazionale in ogni paese europeo, deve invece conservare la sua tradizione storica, i contenuti specifici ed originari della sua costituzione materiale pur nel confronto dialettico e fecondo con altri modelli scolastici.
In conclusione solo in un corretto equilibrio tra sovranità nazionale e poteri sovranazionali si può auspicare un Europa della speranza contro l’Europa della rabbia dei movimenti populisti.
Solo le forze politiche che non rinnegano l’amor di patria e vivono il loro Paese come bene comune possono partecipare alla costruzione di un’Unità Europea, né ideale né dominata da logiche economicistiche, rispettosa invece delle singole identità ed istanze nazionali.