Una scena del film Bronte di Florestano Vancini
Donatella Lippi* Corriere Fiorentino 28 luglio 2021
C’è una novella di Giovanni Verga, che si intitola Libertà.
Bronte, 1860: la «folla» inferocita uccide, infierisce, massacra i «galantuomini», le loro famiglie, i campieri, in nome di un «fazzoletto a tre colori», che viene appeso al campanile. E, dopo la carneficina, «ciascuno fra sé calcolava colle dita quello che gli sarebbe toccato di sua parte, e guardava in cagnesco il vicino. Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti!». Per i contadini, che vivevano nella miseria, libertà significava la terra, per la quale erano stati disposti a distruggere la propria vita e quella degli altri: sinonimo di vendetta cieca contro soprusi secolari, aveva poi assunto i toni di giustizia e redenzione sociale, per trascolorare, infine, nell’amarezza del disinganno. Platone avrebbe parlato dell’incompetenza del plethos a governarsi e del fallimento della democrazia.
Nel nostro mese di luglio, la parola «libertà» è stata scandita, invece, tra croci uncinate e stelle a 6 punte, in un improbabile e oltraggioso richiamo agli anni bui della dittatura nazista. No al Green pass, no alla vaccinazione: fu stipulata a Roma, nel 1950, la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali a cui fece seguito nel 1959 la Corte europea, per assicurarne l’applicazione e il rispetto, in un riconoscimento delle libertà individuali che, in una società democratica, possono essere limitate per problemi di sicurezza nazionale e di pubblica sicurezza e, tra l’altro, in nome della protezione della salute.
I vaccini sono stati una delle grandi conquiste della Medicina: nella storia, i governi più illuminati hanno sostenuto la vaccinazione. I pensatori dalla mente più aperta. Nell’Encyclopédie, manifesto illuminista, dove l’intelligenza è l’anima della libertà, l’inoculazione del vaiolo è motivo per una triplice battaglia: l’interesse dello Stato contro l’arbitrio dei singoli; la verità scientifica contro la superstizione; la ragione contro l’irrazionalità. Le varie tesi anti-inoculiste vengono demolite alla luce della logica: tra le motivazioni individuate come causa di questo atteggiamento negativo quella che appare più attuale è l’indifferenza al bene, in una prospettiva pubblica, collettiva, sociale. Ogni struttura di vita comune è il risultato di un esercizio costante della forma più nobile del compromesso, il patto con cui gli individui di una stessa società ne deliberano le norme, come esercizio del principio di responsabilità. Ed è questo il principio, che dovrebbe essere guida nei nostri comportamenti di oggi: libertà come partecipazione a un comune destino, adesione a un contratto sociale che include precisi impegni di solidarietà reciproca tra i cittadini. Nello stato di necessità a cui Covid-19 ci ha costretti il senso della libertà individuale dovrebbe trascolorare in una prospettiva collettiva, là dove il vaccino è l’unica, straordinaria opportunità che la medicina a oggi propone, per evitare la nonvita sospesa nella terapia intensiva, per eludere gli effetti a lungo termine della malattia. E quei bizzarri moduli neri nel quadrato bianco, il Qr code del Green pass, sono la cifra per il recupero della normalità, per essere di nuovo liberi.
Non era libertà quel «carnevale furibondo del mese di luglio» che guidò la folla di Bronte, così come è un equivoco senso di libertà quello che spinge a sfidare il contagio, a negare le regole, a dimenticare i morti di ieri e quelli di oggi, quelli dell’Olocausto e quelli della pandemia.
*Donatella Lippi, laureata in Lettere classiche con specializzazione in Archeologia, Archivistica e Storia della Medicina, è docente di Storia della Medicina presso l’Università di Firenze. È presidente della Fondazione Scienza e Tecnica di Firenze e del Lyceum Club Internazionale di Firenze.
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