Tutti lo conoscono come scrittore e poeta, poco invece si sa del suo «tirocinio professionale» Lavorò per il Comune e col Poggi alla progettazione del viale dei Colli. A lui si deve il villino Bernhardt
Francesco Gurrieri Corriere Fiorentino 6 Ottobre 2021
Questo nostro 2021 è anche il centenario della morte di Renato Fucini (Empoli, 1921). Di «Neri Tanfucio» e della sua poesia, grazie agli studi di Davide Puccini, si sa tutto, un po’ meno della sua attività professionale. Infatti, che il De Amicis lo incontrasse spesso per le vie di Firenze «in mezzo a turbe di muratori e di scalpellini», avendo sottobraccio il disegno d’una casa, o uno scartafaccio pieno di cifre, era indicazione nota, scivolata però, per quanto si sappia, nel ragionevole disinteresse dei suoi critici e dei suoi non pochi detrattori.
Del resto, se il Fucini narratore ha il suo spazio sicuro nella stagione veristica della nostra letteratura, difficile è trovar traccia delle sue opere nella storia dell’architettura, diciamo, dell’eclettismo. Tutti conoscono i bonheurs d’expression del «giovanotto di spirito », pochi sanno, appunto, del suo tirocinio professionale e della sua maggior opera, il villino Bernhardt in via dei della Robbia.
Quando cominciarono a girare in Firenze i suoi primi sonetti manoscritti, la città viveva la sua grande, irripetibile stagione di capitale del Regno. Com’è noto, la deliberazione della Camera del 18 novembre 1864 sanzionò: «la capitale del Regno sarà trasferita a Firenze, dentro sei mesi dalla data della presente legge». E, nonostante più d’un fiorentino sospettasse subito che «l’onere potesse esser maggiore dell’onore», i lavori per la sistemazione logistica dei ministeri e di quant’altro fosse necessario presero il via con effetto immediato. Fatale dunque che a tali oneri si dovesse far fronte con nuove assunzioni di personale.
Fu così che il Fucini, col suo diploma di perito agrario e con gli studi di disegno che aveva fatto a Livorno nello studio del pittore Baldini, si ritrovò nel «registro dei giornalieri» del municipio di Firenze, fin dall’ ottobre del ‘64. Nella filza sul «riordinamento del ruolo organico», oggi conservata nell’archivio storico del nostro comune, lo «stato di servizio » va dal ‘64 al ‘69; vi si legge «come titolo speciale ebbe impegno grandissimo, come punti di merito dieci» e in allegato vi è un attestato (che con il senno del poi possiamo giudicare determinante) dell’ingegner Giacomo Roster, uno dei maggiori professionisti del tempo, del quale, più tardi, il Fucini sposò la figlia Emma. Sempre stando agli «atti», il Fucini è ingegnere di seconda classe, nella terza sezione dell’Uffizio d’Arte. La circostanza è di qualche interesse per la complessa sistemazione dei ministeri in vari compendi monumentali (la Camera dei deputati nel Salone dei Cinquecento e il Senato nel Salone dei Dugento). La cosa non può non stimolare subito il Fucini, che ci lascerà in un sonetto del Guazzabuglio («Dopo il trasferimento degli Uffizi comunali in Palazzo Vecchio») la sua satira graffiante: «Per aver qui un’idea della distanza / O meglio, sproporzione all’infinito / Che v’è tra un impiegato e la sua stanza, / Facendo un calcoletto a menadito / Si troverà la stessa discrepanza / Che v’è tra la su’ paga e ‘1 su’ appetito ».
Sono anni di intensa attività edilizia: l’ufficio d’arte municipale era diretto dall’architetto Del Sarto e, per «razionalizzare un’equa distribuzione del lavoro e delle responsabilità» fu creato un nuovo ufficio per l’atterramento delle mura e l’allargamento della città, affidandolo a Giuseppe Poggi. In quegli anni il Fucini frequenterà i salotti più mondani. Ma, nello stesso tempo, è chiamato dal Poggi a collaborare ai grands travaux di Firenze capitale, vigilando e dirigendo i lavori di un nucleo di operai. È ragionevole pensare che il nostro ingegnere di seconda classe abbia tracciato — topograficamente — buona parte del Viale dei Colli. Ma ben presto Firenze doveva lasciare a Roma una vocazione che forse non aveva mai avuto. Non è dato sapere se l’ingegner Fucini fosse stato licenziato o si fosse collocato in aspettativa: fatto è che nei registri riguardanti il «Personale Provvisorio all’ Uffizio d’Arte », al 22 gennaio 1872, si legge: «Renato Fucini, incerto ».
Certa è invece la paternità fuciniana di un importante episodio professionale. Nell’inserto 383, al 15 febbraio 1872, nelle «carte Poggi», il sindaco di Firenze scrive: «Per quanto concerne questa direzione può essere approvato l’unito disegno previsto per il quale l’ing. sig. Renato Fucini si propone di dar forma esternamente ad un villino che il sig. Bernhardt vuol costruire sopra il lotto XXV via dei Robbia, quartiere Savonarola. Il villino del Fucini, ancor oggi visibile in via dei della Robbia, è una corretta realizzazione di quell’architettura eclettica che a Firenze si espresse con tratti stilistici neo-rinascimentali, con redazione di membrature in malta di calce.
Anche come «ingegnere» dunque, il Fucini sembra compendiare i pregi e i limiti dei toscani, che, se non ebbero nell’architettura fin de siécle guizzi monumentali, nemmeno si persero in inutili trionfalismi.
1878 Antonio Ciseri Ritratto di Renato Fucini