Il prossimo 17 marzo sarà la Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera, la solennità civile che ricorda la proclamazione del Regno d’Italia. Una data, dunque, che celebra quella Nascita della nazione italiana già evocata nella Primavera dei popoli del 1848 e conclusasi definitivamente con la vittoria nella Grande Guerra, di cui si celebra proprio quest’anno il centenario.
Probabilmente non è un caso che il giorno prima si apra a Palazzo Strozzi la mostra Nascita di una Nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano: un viaggio nell’arte, nella politica e nella società dell’Italia tra gli anni Cinquanta e il periodo della contestazione attraverso ottanta opere di artisti, tra i quali, oltre ai tre citati nel titolo, Burri, Vedova, Castellani, Manzoni, Merz e Pistoletto.
“Questa mostra si iscrive nella consolidata indagine intorno all’arte e la cultura della modernità condotta da Palazzo Strozzi negli ultimi anni”, ha dichiarato Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi. “Oltre a ricordare il cinquantesimo anniversario del fermento culturale e sociale legato al Sessantotto, la mostra celebra lo straordinario momento creativo del secondo dopoguerra italiano, un periodo pienamente riscoperto nella sua importanza storico artistica prima all’estero che nel nostro paese”. Per l’occasione è stato scelto “un approccio storico e didattico in grado di rendere l’arte moderna accessibile a tutti”.
Ad aumentare il prestigio di questa importante iniziativa va ricordato che il curatore della mostra è il direttore della veneziana Fondazione Giorgio Cini, Luca Massimo Barbero, noto storico dell’arte e curatore di molte prestigiose mostre internazionali.
Fin qui tutto bene. Sconcerta però che un valente manager culturale come Galansino e un eminente studioso come Luca Massimo Barbero abbiano scelto “Nascita di una Nazione” come titolo di una mostra che si occupa del periodo dall’immediato dopoguerra al Sessantotto. Quasi che l’Italia venisse alla luce solo con la Repubblica e non nel 1861. Dovremmo per di più ritenere che il Sessantotto sia stato uno dei momenti fondanti della Nazione italiana e che i giovani contestatori, inneggiando a Mao, Ho Ci Minh e Che Guevara, manifestassero un sincero amor di Patria… Come se non bastasse, l’opera riprodotta sui grandi manifesti di presentazione della mostra nelle strade di Firenze è una tela del 1949 del pittore neorealista Giulio Turcato intitolata Comizio, una composizione quasi astratta in cui campeggia un fitto sventolio di bandiere rosse stilizzate!
Certamente questo approccio storico e didattico, come afferma Galansino, farà conoscere al grande pubblico l’arte moderna italiana in un modo nuovo e originale, ma sarà anche una pessima lezione di storia del nostro Paese soprattutto per i giovani, che hanno bisogno di letture storiche meno superficiali e meno ambigue per la loro formazione culturale e politica.
Sergio Casprini