«Dalla Monarchia alla Repubblica»: in libreria il settimo e ultimo volume
con gli scritti dello studioso napoletano sulle vicende del nostro PaeseAntonio Carioti Corriere della Sera 8 febbraio
Si può considerare la nazione italiana come un «soggetto storico» costituitosi diversi secoli or sono, che quindi «non è nato nel Risorgimento, né è stato un suo frutto a posteriori»?Giuseppe Galasso risponde risolutamente di sì. E lo scrive a chiare lettere nella prefazione del settimo volume, intitolato Dalla Monarchia alla Repubblica (pp. 318, e 45), che conclude la serie «L’Italia nuova», in cui le Edizioni di Storia e Letteratura hanno raccolto i numerosi scritti dedicati dallo storico napoletano alle vicende del nostro Paese dai moti risorgimentali all’epoca repubblicana.
Cinque dei libri in questione erano già usciti a suo tempo nei quaderni di storia dell’editore Le Monnier, quest’ultimo e il precedente, dal titolo Risorgimento tra realtà, pensiero e azione (pp. 312, e 38), sono nuovi e contengono diversi scritti inediti. Comunque l’intera opera, pur nella sua complessa vastità, ha un evidente trama unitaria, che consiste appunto nel richiamo al retroterra secolare della costruzione nazionale italiana e nella conseguente critica rivolta all’idea di una strutturale arretratezza o anomalia del nostro Paese rispetto al resto dell’Europa. Se lo Stato italiano si è formato in ritardo rispetto ad alcune grandi monarchie occidentali (Francia, Inghilterra, Spagna), si evince da queste pagine, la nazione aveva già una sua identità specifica, che trovò nel 1861 il suo sbocco politico.
Date queste premesse, ovviamente Galasso non concede grande credito alle visioni riduttive o negative del Risorgimento, né più in generale alla moda sempreverde dell’autofustigazione nazionale. E dissente quindi da chi vorrebbe far ricadere sui padri della patria ottocenteschi responsabilità preminenti per difficoltà del giorno d’oggi addebitabili piuttosto a coloro che hanno retto le sorti del Paese in tempi assai più prossimi. Significativo a tal proposito l’elogio che l’autore dedica allo Stato unitario, cui attribuisce il merito di aver determinato «un deciso ammodernamento, potenziamento e liberalizzazione nelle strutture e nella prassi della vita pubblica e del rapporto fra pubblica amministrazione e cittadinanza». Insomma, l’apparato pubblico allestito dalla Destra storica e sviluppato dai suoi successori aveva difetti, anche gravi, ma un paragone con le situazioni precedenti torna a suo vantaggio. Allo stesso modo Galasso sottolinea che l’Italia liberale, al suo apparire nel 1861, venne giudicata da molti un edificio precario, che avrebbe potuto sfaldarsi in breve tempo. Il fatto che invece abbia resistito e si sia consolidata non si può dare retrospettivamente per scontato, vista l’enormità dei problemi sorti dalla realizzazione del processo risorgimentale. E nel frattempo il Paese ha conosciuto, a partire dalla fine dell’Ottocento, diverse straordinarie ondate di crescita industriale, che ne hanno trasformato il volto.
Non sono mancate le cadute anche rovinose, in particolare con la dittatura fascista e il disastro della Seconda guerra mondiale, ma nel complesso, scrive Galasso, «l’Italia è uscita da un vero proprio stato di minorità rispetto all’Europa avanzata e ne è diventata una parte cospicua e imprescindibile». Attenzione però a non attribuire una sorta di ottimismo panglossiano, tendente ad assolvere in blocco le classi dirigenti italiane, a un autore avvertito come Galasso. In realtà molti degli scritti contenuti in queste raccolte illustrano ampiamente quanto faticoso e contraddittorio sia stato il cammino della nostra compagine nazionale. E poi, se è vero che abbiamo fatto notevoli passi avanti dall’epoca degli Stati preunitari, nulla garantisce che in futuro ce la caveremo sempre