Il nuovo saggio di Giuseppe Antonielli (Mondadori) mette l’accento su una nuova lingua, l’«e-taliano», che forse riuscirà ad abbatterà la secolare rigidità della scrittura
Paolo di Stefano Corriere della Sera del 26 settembre
L’italiano è vivo, viva l’e-taliano! Con questa esclamazione di ottimismo si conclude il nuovo saggio-pamphlet dello storico della lingua Giuseppe Antonelli, Comunque anche Leopardi diceva le parolacce (Mondadori, pagine 177, e 12): un libro fatto apposta per sfidare il perbenismo e il catastrofismo linguistico, per smontare cioè le tesi dei profeti di sventura, i tanti che intravedono nella scrittura digitale (sms, mail, post, chat, tweet eccetera) l’inizio della fine della nostra lingua, quelli che a intervalli regolari gridano al tramonto del congiuntivo, all’imbarbarimento lessicale e alla morte della punteggiatura. Ogni lingua, ricorda Antonelli, è un organismo in continua e incoercibile evoluzione: «Se si ama la propria lingua, non c’è peggior delitto di volerla seppellire viva. Di ibernarla in nome di una mai esistita èra glaciale della perfezione».
Una lingua viva non è mai perfetta, anzi è naturalmente in una condizione di precarietà e di deriva. A voler giudicare il (basso) livello di consapevolezza, si rischia di censurare persino Dante, Boccaccio e Leopardi, che scrivevano rispettivamente: «perché non ti facci meraviglia», «ove che tu vadi», «io credo che tu abbi in capo una mala intenzione», coniugando i verbi apparentemente a capocchia. Oppure si finisce per correggere Pirandello e Landolfi, che non esitano a scrivere qual’è con l’apostrofo (severamente condannato in un tema scolastico). Siamo sicuri, insomma, di avere imboccato una deriva senza ritorno? Tutt’altro. I ritorni sono tantissimi, a cominciare dalle deprecate abbreviazioni che impazzano non solo negli sms e che recuperano abitudini utilizzate in passato per le stesse ragioni attuali, e cioè per risparmiare tempo e spazio, persino per evitare tariffe postali eccessive. «Un’età dell’oro in cui tutti parlavano (o scrivevano) bene non c’è mai stata» è il titolo di un paragrafo del libro di Antonelli. Un altro è il seguente: «Parole nuove (e straniere) fanno parte da sempre di un continuo e salutare ricambio epidermico». Nel 1961 un illustre saggista lanciava l’allarme contro lo sdoganamento di termini come «libresco», «(stanza di) soggiorno» e «fantascienza».
In definitiva, nella lingua, il confine tra giusto e sbagliato è estremamente labile: il raddoppiamento della congiunzione, per esempio «ma però», può essere rafforzamento lecito, secondo uno dei maggiori linguisti, Luca Serianni. Venendo all’italiano scritto nella rete, cioè all’e-taliano, Antonelli vi intravede una potenzialità mai riscontrata prima nella storia della lingua. Se negli anni Sessanta la televisione ha ampliato enormemente la platea dell’italiano parlato, favorendo il passaggio dal dialetto all’«italiano dell’uso medio» come motore del cambiamento, oggi assistiamo a una seconda rivoluzione, del tutto inaspettata e anzi clamorosa. Il cambiamento viene non più solo dall’oralità ma da quella forma scritta cui finora era assegnato il ruolo di codificazione. Finalmente le innovazioni linguistiche passano dalla scrittura online: quella rapida, immediata, breve, informale che usiamo per gli scambi nei social network o al cellulare.
Una sorta di diffusissimo italiano neopopolare digitato che si è andato imponendo proprio mentre la scrittura tradizionale sembrava limitarsi ai componimenti scolastici o alle liste per la spesa. All’epistola si è sostituita l’e-pistola, suggerisce Antonelli: e non sembra un male, anzi è «una grandissima occasione», perché colma quella fascia di comunicazione rimasta vuota per secoli, se si eccettua la corrispondenza privata: lo scritto informale, come stimolo alla crescita e alla diffusione della nostra lingua, capace di abbattere il secolare «ingessamento» della forma scritta. «Un lavoro sulla lingua, attraverso esercizi di sintesi, battute, giochi di parole, invenzioni creative che non necessariamente — dice Antonelli — sono sinonimo di sciatteria, ma sono il segno di una nuova vitalità, di una semplificazione e di un’efficacia comunicativa che prima non conoscevamo».