“La guerra ha questo di buono: sconvolge le abitudini e i valori tradizionali e spinge la innumerevole falange dei vili, dei timidi, dei misoneisti verso l’azione e li costringe ad assumere una posizione netta nella vita.”
Giovanni Capodivacca, Colloqui del giorno, in la Critica magistrale, 1 settembre 1914
Il 4 novembre è la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate e quest’anno si celebra soprattutto il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia, il 24 maggio del 1915, a fianco degli eserciti di Francia, Inghilterra e Russia contro gli eserciti germanici ed austro-ungarici.
Per gli altri stati europei la prima guerra mondiale era scoppiata l’anno prima, nell’agosto del 1914 dopo l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. Il nostro governo aveva deciso allora per la neutralità nonostante che venisse sollecitato dagli altri governi europei a schierarsi da una parte o l’altra dei contendenti.
In questi mesi di commemorazione della Grande Guerra ( nei convegni, nei servizi-radiotelevisivi, nelle pagine culturali dei giornali, in numerose pubblicazioni) si é discusso in particolare sulle ragioni per cui nel nostro Paese si affermò nel corso del 1914 un’opinione pubblica favorevole alla guerra contro chi, cattolico, liberale o socialista era schierato per la neutralità.
La mobilitazione delle piazze con una partecipazione crescente della popolazione fino alle radiose giornate di maggio del 1915, come le definì D’Annunzio, con l’appoggio dei più importanti giornali italiani ( il Corriere della Sera di Luigi Albertini, dichiaratamente interventista, raddoppiò in quei mesi le vendite) è solo in parte la risposta.
Fu soprattutto lo schierarsi a favore dell’intervento degli uomini di cultura, degli artisti, degli scrittori, dei poeti, salvo rare eccezioni, fino al coinvolgimento di studenti e professori nelle università e nelle scuole a creare un clima favorevole alla guerra, una guerra allora idealizzata, che poi nel corso dei crudi e drammatici eventi bellici avrebbe invece mostrato di sé un’immagine tanto assurda, quanto terribile.
Nella storiografia filosofica si indica come Spirito del tempo la tendenza culturale predominante in una determinata epoca ed agli inizi del ‘900 in Europa si sentì il bisogno di reagire a quella cultura positivistica ottocentesca che aveva prodotto l’infiacchirsi morale dei popoli e i lustrini della Belle Epoque con la ricerca di valori spirituali e di rinnovate idealità, con l’affermazione di nuove concezioni filosofiche ( la forza spirituale dell’élan vital del francese Bergson, l’autenticità del Superuomo del tedesco Nietzsche ). Questo nuovo Spirito del tempo soffiò sia nelle opere di poeti e scrittori che in quelle delle avanguardie artistiche, dai cubisti ai futuristi, e portò a credere che la guerra avrebbe potuto essere a un tempo rinnovamento morale che palingenesi sociale.
Il fronte degli interventisti italiani pur con accenti diversi, dai nazionalisti ai democratici, ritrovò l’élan vital negli ideali di Mazzini e di Garibaldi, nelle aspirazioni dei patrioti risorgimentali, venute meno nella gestione burocratica del potere da parte dei governi post-risorgimentali, riscoprì l’amor di Patria, condivise le ragioni degli Irredentisti e quindi si schierò in maniera compatta per la guerra con l’Austria per l’Unità d’Italia dalle Alpi alla Sicilia.
A distanza di 100 anni dopo gli orrori di due guerre mondiali tra i giovani europei non esiste più come nel passato il mito della guerra e ed oggi sono i pacifisti che mobilitano le piazze, ma la Grande Guerra fu per l’Italia uno dei momenti fondativi della sua identità nazionale e, se pure lo Spirito del tempo è mutato, questo drammatico evento della storia italiana va ricordato non solo quest’anno in occasione del suo centenario ma anche in futuro perché resti sempre nella coscienza e nella memoria dei cittadini del nostro Paese