L’ideale di un’Europa unita, che superasse gli egoismi e gli interessi di ogni singola nazione, fu promosso per la prima volta da Giuseppe Mazzini, con la fondazione nel Giovine Europa nel 1834, un’associazione politica internazionale nata appunto per sostenere l’indipendenza dei popoli e la loro emancipazione dai regimi assoluti. Con l’obiettivo finale di creare una federazione degli Stati europei. Le difficoltà organizzative e le persecuzioni subite da Mazzini e dai suoi seguaci portarono però allo scioglimento della Giovane Europa alla fine del 1836.
Il progetto di una federazione europea riprende con maggior fortuna per l’impegno politico di Altiero Spinelli che con il manifesto di Ventotene, scritto nel 1941 durante il confino in quell’isola insieme a Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, e poi con la fondazione nel 1943 del Movimento federalista europeo, operò per la realizzazione dell’Unità europea, al fine di evitare così il ripetersi di nuovi tragici conflitti mondiali. Il 14 febbraio 1984, il Parlamento europeo adottò a stragrande maggioranza su proposta di Spinelli il “Progetto di Trattato istitutivo dell’Unione europea”, il cosiddetto “Piano Spinelli”. I Parlamenti nazionali non ratificarono il Trattato, ma il documento costituì la base per l’Atto unico europeo del 1986, che diede attuzione alla libertà di circolazione dei lavoratori, delle merci e dei capitali, e per il Trattato di Maastrict del 1992 con cui nacque l’Unione europea.
Tuttavia, a distanza di più di trent’anni dalla morte di Altiero Spinelli, pur non ripetendosi le tragedie del ’900 sul suolo europeo, il suo sogno di un’Europa politica sovranazionale non si è ancora realizzato. Ciascuno dei 28 stati dell’Unione Europea, che pure hanno accettato una serie di “cessioni di sovranità” soprattutto in campo economico-finanziario, ha ancora numerose competenze esclusive, un proprio esercito, una propria politica estera; e nove di essi conservano a tutt’oggi la loro moneta nazionale. Di fronte a questioni complesse e spesso drammatiche, l’obbligo di raggiungere l’unanimità impedisce di decidere. Per esempio, sulla questione delle migrazioni di massa verso l’Europa è finora stato impossibile trovare un accordo che tuteli i paesi più raggiungibili dalle coste africane. Buona prova ha dato invece di sé l’Unione Europea nel fronteggiare la pandemia del Covid e la crisi economica conseguente, per la quale è stato varato il programma Next Generation Eu.
Negli ultimi tempi l’Europa si è trovata a essere in politica estera il manzoniano vaso di coccio tra vasi di ferro (Usa, Russia e Cina), a cui si aggiunge la minaccia costante del terrorismo islamico, sostenuto dai paesi teocratici arabi. Il vecchio continente, non avendo una politica estera condivisa, non riesce a incidere sufficientemente nelle emergenze esplose all’interno dei suoi confini geografici con l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia e, nel vicino Oriente, con l’obbrobriosa carneficina del 7 ottobre da parte di Hamas e la conseguente tragedia delle vittime civili causate dalla risposta israeliana.
La situazione di crisi del processo unitario europeo non nasce solo da una debole capacità di governo delle sue istituzioni, dalla presenza di partiti populisti e sovranisti e dal confronto/scontro tra le diverse famiglie politiche, ma soprattutto dalla mancata consapevolezza di avere una forte identità storica e culturale di cui andare fieri, senza alcuna presunzione di superiorità o sensi di colpa rispetto ai paesi non europei. Un’identità – detto in grande sintesi – radicata nelle grandi civiltà greca e romana, nell’eredità giudaico-cristiana, nel Rinascimento e nell’Illuminismo. Ne è scaturita, non senza grandi sofferenze, un’Europa democratica, che pur nelle sue imperfezioni, garantisce la libertà dei suoi cittadini e consente anche manifestazioni di radicale dissenso verso il potere costituito. Questa secolare storia dell’Europa ha visto l’affermazione di una forte identità culturale, forgiata dall’opera e dal pensiero di grandi politici, filosofi, artisti, che non può certo essere messa acriticamente sotto accusa, come fa la cosiddetta Cancel Culture, applicandole i criteri morali e sociali dell’Occidente contemporaneo.
Questa è la vera posta in gioco delle prossime elezioni: riaffermare l’orgoglio di essere Europei per poter affrontare le drammatiche sfide internazionali che ci attendono, per ridare valore e senso alla partecipazione elettorale, superando l’astensionismo, cioè l’indifferenza di gran parte della cittadinanza verso la politica, che è l’arte di creare il possibile. Soprattutto è necessario che i giovani si riavvicinino all’impegno politico attraverso la comprensione dei problemi sociali e la consapevolezza di quanto sia importante essere cittadini attivi anche nella prospettiva degli Stati Uniti d’Europa. È nella parte migliore della loro generazione che può e deve manifestarsi l’energia necessaria per portare a compimento il progetto federalista. Ancora oggi, ma per fortuna sulla base dei progressi già compiuti, possiamo dire con il Manifesto di Ventotene che “la via da percorrere non è facile né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà”.
Sergio Casprini