No, no, non si può stare sempre a guardare!
(Il sottotenente Alberto Innocenzi durante le 4 giornate di Napoli – Alberto Sordi nel film “Tutti a casa”)
L’8 settembre 1943 è una data che nell’immaginario collettivo degli italiani è sinonimo di sconfitta. Quel giorno del 1943 gli italiani seppero attraverso la radio che l’Italia aveva firmato un armistizio con gli alleati angloamericani e non erano più al fianco dei tedeschi. Le alte gerarchie militari non avevano prestabilito un piano d’emergenza da comunicare ai propri soldati. I tedeschi, invece, un piano lo avevano già da tempo, perché si aspettavano una mossa di quel tipo, dopo l’arresto di Benito Mussolini.
Il primo a fuggire da Roma, dopo l’annuncio della firma dell’armistizio fu Vittorio Emanuele III che insieme al capo del governo Badoglio si rifugiò a Brindisi per evitare l’arresto da parte tedesca.
L’esercito italiano si trovò allo sbando: molti soldati tornarono nelle loro case, mentre gli ufficiali dello stato maggiore raggiunsero il re a Brindisi.
Ci furono però reparti militari che volsero le armi contro i tedeschi ed in quei giorni iniziò la lotta partigiana.
Negli anni più recenti si è molto discusso intorno all’otto settembre. Fu il giorno della morte della Patria? O fu il giorno dell’inizio della ripresa della democrazia?
Nonostante l’onore che la Resistenza restituì all’Italia, ideali e sentimenti come Patria e Nazione furono rimossi alla fine della guerra, non solo perché screditati dalla retorica e dall’avventurismo militare del fascismo, ma anche perché la monarchia dei Savoia, che, negli anni del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, della Patria era stata il simbolo e l’istituzione più importante, con la fuga dell’otto settembre delegittimò per sempre il suo ruolo di rappresentanza degli italiani.
Siamo a sessant’anni da quei giorni e per fortuna le nuove generazioni non hanno mai conosciuto la tragedia delle guerre ed il venir meno della libertà e della democrazia, ma in questo settembre del 2012 in Europa siamo nella morsa della più grave crisi economica dal dopoguerra ad oggi, un colossale crac finanziario che sta mettendo alla corda governi e popoli.
In Italia crisi del lavoro, forte disoccupazione giovanile, scandali, partiti allo sbando e sempre meno rappresentativi, mancanza di credibili alternative politiche stanno mettendo a dura prova gli italiani, come è successo nel lontano 1943, certamente in maniera molto meno drammatica, senza i rastrellamenti dei nazifascisti, i bombardamenti degli anglo-americani, senza la fame e la borsa nera di quegli anni.
E in questi frangenti dobbiamo tornare tutti a casa, trovando rifugio nel proprio particulare?
Oppure condividere le stesse speranze, gli stessi obiettivi, ritrovando un sentimento di appartenenza ed identità nazionale, com’è successo durante le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia?
Ci conforta a scegliere questa seconda opzione l’esempio del presidente Napolitano, che in questi mesi difficili non ha mai mancato di richiamare le istituzioni, le forze politiche, i cittadini a far propri gli interessi nazionali, abbandonando spirito di parte e logiche corporative.
Vittorio Emanuele III nel settembre del 1943 sperperò in pochi giorni quel rispetto e quella fiducia nella monarchia che il popolo italiano aveva dai tempi dell’Unità d’Italia e se in questi anni siamo tornati con orgoglio a riconoscerci nei simboli dell’italianità, dalla bandiera all’inno nazionale lo dobbiamo al presidente Napolitano, che possiamo considerare fuori da ogni retorica il Padre attuale della Patria, come lo fu negli anni eroici del Risorgimento il re Vittorio Emanuele II.