LETTERE AL CORRIERE DELLA SERA 13 novembre 2019
Caro Aldo, a proposito delle ragioni del declino piemontese, vorrei ricordare che il Piemonte post-unitario ha sempre avuto ben poco a che fare con il Regno di Sardegna, di cui era la regione portante. Come sempre dopo l’assorbimento da parte di una realtà territoriale molto più ampia e squilibrata economicamente, socialmente, culturalmente e geograficamente, il Piemonte — ridotto ad entità regionale — ha precorso quella che sarebbe poi stata la sorte di Trieste, un’altra entità storico-geografica eccentrica rispetto all’Italia unitaria. Gian Carlo Scarsi Mentone (Francia)
Caro Gian Carlo, Ringrazio tutti coloro, davvero tanti, che hanno scritto per commentare – o contestare, o ribadire – il declino politico-culturale del Piemonte. Lei in particolare coglie un punto sollevato anche da altri. Torino e il Piemonte non soltanto hanno dato il sangue per fare l’Italia; con l’unità d’Italia ci hanno perso. Il Piemonte era uno Stato da quasi mille anni, a cavallo tra Italia e Francia. All’improvviso si è trovato in un angolo. Quasi subito il re se ne andò: prima a Firenze, poi a Roma. Non era scontato che lo facesse; Berlino e Parigi non sono al centro della Germania e della Francia, sono le capitali della dinastia che le unificò. I Savoia fecero una scelta diversa. A Torino ci furono moti contro lo spostamento della capitale, repressi nel sangue, con decine di morti. A lungo, non più capitale politica e non ancora capitale industriale, Torino ristagnò. Era la città crepuscolare di Gozzano, in cui le belle signore mangiavano le paste nelle confetterie. Poi cominciò un’altra storia, con la nostra rivoluzione industriale. Che però non fu un regalo del destino; fu il frutto del genio e del lavoro del popolo piemontese, cui diedero un contributo fondamentale nel dopoguerra decine, centinaia di migliaia di lavoratori arrivati dal Sud.
Certo, anche per Trieste non fu un affare ricongiungersi allo Stato italiano: da porto dell’Impero divenne a poco a poco una – splendida – città di provincia. Ma la più danneggiata è stata Napoli, che era di gran lunga la metropoli più grande della penisola. Però, oltre 150 anni dopo, l’Italia ormai è fatta. E anche grazie alle grandi migrazioni interne ci siamo mescolati tra di noi. Forse è arrivato davvero il momento di rinunciare alle recriminazioni incrociate. Aldo Cazzullo