… perché maledire la storia non basta a cancellarla. Più utile è istruttivo è sforzarsi di conoscerla in tutti i suoi aspetti,anche sgradevoli. E soprattutto cercare di comprenderla.
Antonio Carioti Corriere della Sera 26 agosto
Il 4 luglio 2017 il consiglio regionale della Puglia ha preso in esame una mozione presentata dal M5S intitolata «Istituzione di una giornata della memoria atta a commemorare i meridionali morti in occasione dell’unificazione italiana».
La mozione, approvata da tutte le forze politiche con pochi voti contrari e con il pieno assenso del governatore Michele Emiliano, impegna il governo regionale «a indicare il 13 febbraio come giornata ufficiale in cui si possano commemorare i meridionali che perirono in occasione dell’unità nonché i relativi paesi rasi al suolo»; «ad avviare, in occasione di suddetta giornata della memoria, tutte le iniziative di propria competenza al fine di promuovere convegni ed eventi atti a rammentare i fatti in oggetto, coinvolgendo gli istituti scolastici di ogni ordine e grado».
Questa iniziativa non solo riscatta il brigantaggio meridionale come movimento di liberazione del Sud dagli oppressori piemontesi e pertanto criminalizza la fondazione dell’Unità d’Italia ma anche, coinvolgendo pure con eventi e convegni le scuole del Sud, propone ai nostri giovani una visione distorta della storia patria con la conseguenza di compromettere la loro formazione alla cittadinanza, come richiesto dai programmi scolastici, e a far perdere loro il senso di appartenenza ad una comunità nazionale.
Richiedere inoltre l’istituzione di una «Giornata della memoria»significa mettere una pagina controversa della storia d’Italia sullo stesso piano del genocidio nazista degli ebrei; o rinviare alla «giornata del ricordo» dedicata alle vittime delle foibe e della «pulizia etnica» che colpì gli italiani di Istria. In sintesi significa disegnare la formazione dello Stato unitario come il frutto di un crimine contro l’umanità.
Fissare infine la «Giornata della memoria» al 13 febbraio, vuol dire rimandare al giorno in cui — dopo oltre 100 giorni di durissimo assedio — cade la fortezza di Gaeta, ultimo baluardo della resistenza di Francesco II, re delle Due Sicilie. In altri termini, l’ingresso del Sud nella compagine nazionale è identificato come la sconfitta militare da parte di una potenza straniera alla quale è seguita la resistenza «nazionale» dei briganti alle truppe piemontesi.
Il 22 ottobre 2017 Lombardia e Veneto votano su un referendum che chiede più autonomia dal governo centrale.
L’obiettivo di queste due consultazioni organizzate dal presidente lombardo Roberto Maroni e da quello veneto Luca Zaia (entrambi del partito della Lega Nord) è chiedere ai loro cittadini il mandato a portare avanti il progetto di aumentare il numero di materie su cui la regione ha competenza, come previsto dall’articolo 116 del titolo V della Costituzione che regola i rapporti tra stato e autonomie locali (“Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali […]”). È la prima volta che questo passaggio dell’articolo 116 viene invocato.
E’ un’operazione inutile dal punto di vista procedurale e costituzionale. Né è molto chiaro quali nuove competenze le due regioni vorrebbero attribuirsi. E’ solo un’iniziativa politica e simbolica da parte della Lega Nord, che non vuole certo proporre la Secessione del Nord come nel passato, ma comunque, nella rivendicazione di una maggiore autonomia dal governo centrale, vuole affermare il sentimento di estraneità del Veneto e della Lombardia ai valori fondativi della nostra identità nazionale.
A conferma dell’insofferenza di una parte del Nord a sentirsi italiana va ricordato che in occasione del 150esimo anniversario della III guerra d’indipendenza del 1866 fece scalpore l’assenza in tutto il Veneto di commemorazioni ufficiali e di iniziative pubbliche per ricordare questo anniversario fino alla provocazione del comune di Cittadella di far sventolare il 22 ottobre del 2016 la bandiera veneta con il Leone di San Marco a mezz’asta con il segno di lutto!
Il 20 settembre ogni anno viene ricordata La Breccia di Porta Pia del 1870, una data fortemente simbolica nella storia del nostro Paese.
Il 20 settembre 1870 con La Breccia di porta Pia e la Presa di Roma fu infatti l’episodio del Risorgimento che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia, decretando la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei papi e fu un momento pertanto significativo del processo di unificazione nazionale, anche se fu la ragione della grave frattura politica e diplomatica tra Chiesa di Roma e ed il giovane Regno d’Italia. L’anniversario del 20 settembre è stato festività nazionale fino alla sua abolizione dopo i Patti Lateranensi nel 1929, che hanno sancito la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Papato e Stato italiano
Dopo la caduta del fascismo e la nascita della Repubblica italiana solo le associazioni laiche, i radicali, i liberali ed i socialisti hanno ogni anno commemorato il 20 settembre, talora con l’adesione delle istituzioni civili nei luoghi simbolo del Risorgimento. La Santa Sede da anni però non ha più le posizioni politiche ed oltranziste del 1870, già infatti nel primo centenario della Breccia di Porta Pia, nel 1970, Paolo VI aveva detto che il papa dopo aver perduto l’autorità temporale aveva acquisito maggiore autorità nella Chiesa, aveva ripreso “con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo”.
Le commemorazioni pertanto del 20 settembre hanno lo scopo di rafforzare una memoria condivisa dei valori del Risorgimento tra gli italiani laici, cattolici e non credenti, superando anacronistici steccati ideologici, e soprattutto di riaffermare il valore dell’Unità d’Italia rispetto a chi ha ancora nostalgia e rimpianto per il potere temporale dei Papi, il Regno delle Due Sicilie ed il Governo Lombardo-Veneto dell’Austria!
Sergio Casprini