di Mauro Bonciani dal Corriere Fiorentino del 11 febbraio. Con un saggio di Alberto Aspen sulla figura di Antonia Masanello.
Antonia Masanello si travestì da uomo, combattendo insieme al marito
Il caporale era un garibaldino, anzi l’unica garibaldina della storia: bionda, esile, bella. Antonia Masanello, coniugata Marinello, fu smobilitata assieme allo sposo con le altre camicie rosse dopo molti combattimenti e morì a Firenze nel 1862, a 29 anni. «Ho impiegato anni per dare sangue e carne a Tonina, come la chiamiamo noi, ad una figura che era solo mitica —racconta da Cervarese Santa Croce, Alberto Espen, il bibliotecario e storico che l’ha riscoperta— Quando ho ritrovato il suo certificato di battesimo quasi non credevo ai miei occhi». «La garibaldina? Zia Tonina… per noi è come una vecchia zia, di cui abbiamo sempre sentito parlare e ogni anno andavo con nonno Umberto e babbo Giovanni a portare un fiore sulla sua tomba», dice Paolo Marinello, il pronipote che a Firenze lavora e conserva la memoria di quell’ava formidabile. Antonia, Tonina, Masanella, la garibaldina. La sua storia è così incredibile che non sembra vera. Antonia Masanello di Antonio e di Maria Lucca di Zianigo fu battezzata il 28 luglio 1833 dal parroco di Montemerlo, frazioncina di Cervarese, don Giuseppe Lazzarotto, «padrino Agostin Terribile di Trambacche, mammana Francesca Romanin vedova Tessari».
Di famiglia povera, con il marito —non conosciamo neppure il suo nome, non sappiamo né dove lo conobbe, forse sul porto fluviale del castello di San Martino che si trovava vicino a casa sua, né quando fu celebrato il matrimonio— condivise gli ideali liberali e patriottici. Ben presto la polizia austriaca, il Veneto era sotto gli Asburgo, iniziò a tenere d’occhio la coppia che nel frattempo aveva avuto una figlia. Nella primavera del 1860, nottetempo, i due presero la bambina, varcarono la frontiera e scapparono a Modena. Ma non basta: affidata la figlioletta a qualcuno di cui si fidavano, corsero verso Genova dove si stava preparando la spedizione dei Mille. Arrivati dopo che il Piemonte ed il Lombardo erano salpati, si dettero da fare e alla fine si aggregarono alla spedizione del pavese Gaetano Sacchi: forse fu in quei giorni che Tonina decise, per non lasciare il marito, di nascondere il suo sesso, vestendosi da uomo e facendosi passare per Antonio Marinello, il fratello minore. Il travestimento ebbe successo, nessuno si accorse di niente e i due inseparabili sposini approdarono in Sicilia, subito dopo il trionfo dei Mille a Calatafimi. Accanto al «fratello» affrontò difficoltà e battaglie, compresi i durissimi scontri del Volturno, fino ad ottenere il brevetto di caporale. Narra la leggenda che solo il maggiore Bossi e il colonnello Ferracini conoscessero il suo vero sesso, che suo marito fu ferito più volte ma lei rimase sempre indenne, nonostante combattessero fianco a fianco, e che durante una mischia le volò via il berretto e vedendo i biondi capelli il generale Garibaldi intuisse la sua vera identità.
Finita l’avventura Antonio, tornato Tonina, e il marito ripresero la bambina a Modena e andarono a Firenze. Abitavano, poverissimi, nel cuore della città, le strette e sudice stradine tra il Ghetto e il mercato antico, in piazza de’ Marroni (scomparsa come altre piazze e strade per far posto a piazza della Repubblica quando il centro fu sventrato alla fine dell’Ottocento). Minata dalla tisi, Tonina morì il 20 o il 21 maggio 1862 e la notizia si sparse in città. Lo Zenzero, giornale edito a Firenze, raccontava il 23 maggio: «Popolani miei carissimi ieri l’altro sera quella bara che portava un cadavere all’ultima dimora dissero era di un garibaldino, anzi dissero una Garibaldina. Non sapete altro? Ascoltate». L’articolista spiegava che fu una combattente, né vivandiera, né infermiera, «che col suo fucile in spalla fece tutto quel che fecero quei generosi giovani», che «montava le guardie », che fece tutto «con disinvoltura e coraggio». La sua fama spinse l’intellettuale Francesco dell’Ongaro a dedicarle una poesia, Tonina fu sepolta al cimitero monumentale delle Porte Sante «all’ombra della torre di San Miniato» e perfino un quotidiano di New Orleans scrisse della morte dell’«eroina italiana», mentre la suffragetta Ada Corbellini chiese di riposare accanto a lei.
Sulla sua tomba una grande lapide riportava il cognome del marito ed i versi dell’ode di dell’Ongaro: «Era bionda, era bella, era piccina, ma avea cuor di leone. E se non fosse che era nata donna, poserebbe sul funereo letto colla medaglia del valor sul petto. Ma che fa la medaglia e tutto il resto, pugnò col Garibaldi e basti questo». Dal 1958 quella lapide è al cimitero di Trespiano, sotto il pennone del tricolore issato tra le sessanta tombe dei garibaldini. «Di lei si parlava a filò (veglia, in dialetto veneto, ndr) nelle stalle, ma sembrava quasi una leggenda — sottolinea Alberto Espen — e invece documenti e giornali ci dicono che la sua fama era meritata, che fu davvero una donna eccezionale ». «Per noi è sempre stata una di famiglia. La sua storia, e quella di suo maritò che si risposò qui, era tramandata dai nonni — conclude il pronipote Paolo Marinello — Siamo contenti che finalmente l’oblio sulla nostra antenata stia svanendo». Ieri, a pochi giorni dal 148esimo anniversario della sua morte, il tricolore sventolava nel sole sopra la tomba di Antonia Masanello in Marinello: quasi un risarcimento simbolico ad una donna che combattè e mise a rischio tutta la sua vita per l’Unità d’Italia.
Mauro Bonciani
>> IL SAGGIO DI ALBERTO ASPEN SU ANTONIA MASANELLO pubblicato in “Terra d’Este”, rivista di storia e cultura del Gabinetto di Lettura di Este (n. 41, anno XXI, gennaio/giugno 2011).