Antonio Carioti Corriere della Sera 24 Ottobre 2019
Definirlo un marziano sarebbe eccessivo, ma sicuramente nell’ambiente della storiografia italiana l’inglese Denis Mack Smith venne avvertito come un corpo estraneo, o comunque fu catalogato secondo criteri che non gli appartenevano. Così la sua Storia d’italia (Laterza, 1959), opera di straordinario successo che ricostruisce le vicende dal 1861 in poi, fu oggetto di grossi equivoci.
È il dato che emerge con chiarezza dalla relazione che Giuseppe Laterza tiene domani a Londra in occasione di un convegno su Mack Smith, scomparso nel 2017 all’età di 97 anni, organizzato dall’association for the Study of Modern Italy insieme all’istituto italiano di cultura. «Il libro dello storico inglese — ricorda l’editore — aveva un taglio antiretorico tipicamente anglosassone, riportava i personaggi del Risorgimento e dell’italia postunitaria a una dimensione umana, evidenziandone errori e debolezze. Anche per questo piacque molto ai lettori, oltre che per la scrittura scorrevole e avvincente».
Solo che da noi, all’epoca, infuriava la polemica tra chi, sulla scorta di Benedetto Croce, assolveva lo Stato liberale dall’accusa di avere aperto la via al fascismo e chi al contrario vedeva nel Risorgimento una «rivoluzione mancata», il cui sbocco moderato e trasformista aveva preparato il terreno su cui in seguito attecchì la dittatura. «Accadde così — nota Laterza — che l’attitudine critica di Mack Smith verso la classe dirigente ottocentesca del nostro Paese venisse scambiata per una sua adesione all’idea che quei politici fossero stati in qualche modo i precursori di Benito Mussolini. Sul Corriere della Sera Panfilo Gentile se la prese anche con mio padre Vito Laterza, rimproverandogli di aver pubblicato un autore per nulla originale, che aveva mutuato le sue idee da una certa storiografia italiana per poi reimportarle da noi come se fossero una novità».
Laterza, che ha preparato la relazione studiando il carteggio tra Denis Mack Smith e la casa editrice da lui diretta, sottolinea che fu un malinteso: «Lo storico inglese era perfettamente consapevole di essere stato severo con alcune personalità italiane, ma in una nota al direttore editoriale di Laterza, Donato Barbone, precisava che lo sarebbe stato altrettanto con i leader di qualsiasi altro Paese europeo dell’epoca».
Del resto in origine quella Storia d’italia, precisa Laterza, non era pensata per il pubblico di casa nostra: «Mack Smith aveva un contratto con un editore americano, Michigan University Press. E per scrupolo nel 1958 chiese a una ventina di editori italiani il permesso di citare brani tratti dalle loro pubblicazioni. Mio padre s’incuriosì e gli domandò di leggere l’opera. Quando la ricevette, capì che si trattava di un testo che poteva imporsi anche nel nostro Paese per il suo stile accessibile. E in effetti la Storia d’italia, benché all’epoca Mack Smith fosse un illustre sconosciuto, si rivelò un bestseller eccezionale per la saggistica. Le sue diverse edizioni hanno superato le 150 mila copie vendute».
Così nel 1961 Vito Laterza propose all’autore di ridurre la mole del testo, sostituendo i tagli con «poche righe di raccordo», per ricavarne un’edizione più agile ed economica. «Poi il progettò non decollò, ma la risposta di Mack Smith fu significativa. Scrisse che non aveva tempo di dedicarsi a un simile lavoro, ma suggerì che poteva effettuarlo lo staff editoriale di Laterza, non mutilando il testo, ma proprio riassumendolo per produrre un’edizione abbreviata basata su quella originale. Non coltivava il concetto sacrale del proprio lavoro che caratterizza molti accademici italiani. Quando poi nel 1978 mio padre si dispiacque perché Mack Smith aveva scelto di pubblicare la sua biografia di Mussolini per Rizzoli, lo storico confermò la massima stima per Laterza, ma aggiunse senza problemi che lo faceva anche per “guadagnar soldi”. Aveva un atteggiamento molto franco e laico verso l’aspetto economico della sua attività».
Proprio la distanza dal sussiego degli studiosi di casa nostra procurò a Mack Smith la simpatia di Indro Montanelli, che sul «Corriere» nel 1970 difese dalle critiche la sua Storia della Sicilia medievale e moderna, anch’essa edita da Laterza: «Denis ne fu molto divertito, scrisse a mio padre che di certo Montanelli non aveva letto il libro con troppa attenzione e per di più aveva voluto arruolarlo al suo fianco nella battaglia contro gli storici accademici. Però le conclusioni erano così elogiative che si poteva serenamente perdonarlo».