Una storia e un personaggio esemplari delle complesse vicende che portarono al Regno d’Italia.
Da attente ricerche storiche, soprattutto dagli anni ’80 del XX Secolo, riemerge una nuova immagine del patriota Callimaco Zambianchi e della “diversione “che comandò nel maggio del 1860, da Talamone alle Grotte di Castro e conclusa a Sorano.
Abba e Bandi dedicarono poche righe e “politicamente corrette” a quella operazione non citando neppure uno dei protagonisti toscani delle attività garibaldine come Andrea Sgarallino. Garibaldi, nelle memorie precisò le direttive di quella avrebbe dovuto essere avanguardia e diversivo, la corrispondenza di quel mese documenta inoltre che quella che divenne la spedizione di rinforzo di Medici e Cosenz in un primo tempo fu concepita per sbarcare a Montalto di Castro, congiungersi con Zambianchi e attraversate (e forse fatte sollevare) Umbria e Marche, minacciare il regno delle due Sicilie dagli Abruzzi. Callimaco Zambianchi era ben conosciuto da Garibaldi: nato a Forlì nel 1811, avendo partecipato ai moti del 1830-31, si rifugiò in Francia, dove si laureò e operò come ingegnere civile e topografo, nel 1843 raggiunse Montevideo e alla battaglia di Sant’Antonio del Salto (8 febbraio 1846) divenne ufficiale della Legione Italiana per il valore dimostrato. Tornato nel 1848 in Italia fu ufficiale del Genio nelle truppe venete e della divisione lombarda Ferrari, venendo anche ferito.
Fu alla difesa della Repubblica Romana col grado di maggiore al comando del Corpo dei Finanzieri e fu allora che fece fucilare due sacerdoti incolpati di spionaggio procurandogli la fama di sanguinario. Caduta la repubblica Zambianchi, dopo un soggiorno nel Regno Unito, nel 1854 raggiunse il Sudamerica entrando nell’esercito argentino come ingegnere militare e si distinse come filantropo, in campo civile ,nella comunità italiana e fu molto stimato da Bartolomé Mitre, uomo politico e intellettuale.
1860 Girolamo Induno L’imbarco di Garibaldi a Quarto
In Italia con Garibaldi, salpò da Genova dallo scoglio di Quarto e fu sbarcato a Talamone con alcune decine di volontari a cui se ne sarebbero aggiunti alcuni altri, circa 50, che si erano già imbarcati a Livorno il 3 maggio. Proprio questo contingente rivela l’importanza che in un primo tempo fu data alla “diversione” per la qualità dell’armamento (carabine federali svizzere e revolver) sia degli ufficiali: Andrea Sgarallino, Giuseppe Guerzoni, Alberto Leardi, Cesare Orsini ed Elia Stecouli. I due gruppi si ricongiunsero a Scansano, formando l’ottava compagnia del corpo di spedizione garibaldino e ben presto si aggiunsero volontari maremmani, bersaglieri che avevano lasciato i reparti sardi dislocati nelle vicinanze e gli stessi doganieri. Dopo una sosta di tre giorni, in attesa di Medici e Cosenz, la colonna che si era così formata, nonostante si fosse saputo che gran parte dell’esercito pontificio (formato in gran parte di mercenari stranieri e guidato da ufficiali motivati) era ormai schierato a difesa del confine, il 13 maggio si portò a Manciano e il 14 fu a Pitigliano, dirigendosi poi verso Orvieto, ebbe un primo scontro a Latera
Lapide a Pitigliano
L’avanzata proseguì marciando di notte e la mattina del 19 raggiunse Grotte di Castro. Durante la sosta gendarmi a cavallo pontifici, casualmente al comando del Colonnello De Pimodan, attaccarono ma dopo uno scontro a fuoco di due ore furono respinti con perdite; ormai fu evidente che l’effetto sorpresa era vanificato ed intanto di Medici e Cosenz e delle loro truppe non c’era alcuna traccia.
Grotte di Castro
Infatti la situazione politica si era rapidamente evoluta: Cavour e il governatore della Toscana Ricasoli intesero il rischio di reazioni di Napoleone III, che aveva già dovuto rinunciare a una corona per Girolamo Bonaparte e far accettare la perdita delle Legazioni dello Stato Pontificio agli influenti ambienti cattolici.
Zambianchi aveva già iniziata la ritirata quando fu raggiunto da un emissario del governo sardo che gli ingiunse il rientro in Toscana. A Sorano ad attendere la colonna vi era il primo reggimento dei granatieri di Sardegna al comando del conte Ferdinando Avogadro di Valdengo e Collobiano, ufficiale di ordinanza di Vittorio Emanuele II.
Sgarallino e gli ufficiali, dopo un rapido consiglio di guerra, andarono a Genova in tempo per imbarcarsi con la spedizione di rinforzo di Medici ormai diretta in Sicilia. Zambianchi invece fu arrestato e liberato solo nel 1861, con la promessa di 20000 lire, metà alla partenza e metà all’arrivo in un paese del Sudamerica che non gli furono mai date tanto che per raggiungere l’Argentina dovette ricorrere a una colletta di patrioti a Londra.
In ogni modo Zambianchi a Buenos Aires fu reintegrato nell’esercito e entrò nello stato maggiore come ufficiale del Genio, ma si spense presto, il 13 febbraio 1862 a Cordoba; la moglie e tre figli rimasero invece nella nuova patria ben più riconoscente del nuovo stato dei Savoia.
Ugo Barlozzetti