Da quasi mezzo secolo l’opera dell’artista livornese Mario Puccini (Livorno 1869 – Firenze 1920) rimane perlopiù divisa, e così sottratta all’attenzione del pubblico e degli studiosi, in numerose collezioni private.
L’ultima occasione di poter ripercorrere la breve carriera artistica del “Van Gogh italiano” (come lo definì Emilio Cecchi), concentrata nei primi due decenni del Novecento, fu l’ormai lontana esposizione tenutasi alla Galleria Il Fiorino di Firenze nel 1972, dove per volontà di Lanciotto Bietoletti furono riuniti 38 dipinti del pittore, accompagnati in catalogo da uno scritto di Raffaele de Grada; a distanza di venti anni, Fernando e Riccardo Tassi ospitarono presso la Galleria La Stanzina di Firenze una scelta di dipinti per celebrare la pubblicazione del volume che rimane, ancora oggi, lo strumento di riferimento per seguire l’attività dell’artista. In questo ponderoso volume l’opera di Puccini fu sapientemente indagata da Raffaele Monti, che riservava all’artista un ambito speciale all’interno dei suoi studi sui Postmacchiaioli. Seguendo la strada tracciata da Monti, alla cui memoria si intende dedicare questa esposizione, la conoscenza del pittore potrà finalmente essere approfondita attraverso un progetto espositivo che consentirà di raccogliere le sue maggiori opere, contestualizzandole nel panorama figurativo della Toscana fra la fine dell’Ottocento ed i primi due decenni del Novecento, precocemente aggiornato sulle novità europee.
I dipinti di Puccini saranno dunque affiancati da opere degli amici pittori come Benvenuto Benvenuti, Llewelyn Lloyd, Oscar Ghiglia, Guglielmo Micheli, Alfredo Müller, Plinio Nomellini, che, in modi diversi, contribuirono alla sua formazione ed all’affermazione della sua pittura nel panorama artistico contemporaneo.
La comune matrice fattoriana dalla quale si sviluppa, in differenti direzioni, l’opera degli artisti citati, è particolarmente riconoscibile nell’opera di Puccini (che, negli anni della piena maturità, continuerà a considerare Fattori come il proprio “maestro”) e sarà evidenziata in mostra attraverso puntuali confronti; da questo fecondo alunnato Puccini partirà, dai primi anni del Novecento, per una personale ricerca verso un impiego costruttivo del colore che sfocerà, nei più arditi risultati, in una spazialità ormai francamente riferibile alle sperimentazioni d’oltralpe, come già intuì Ugo Ojetti, che scriveva nel 1910 a Gino Romiti “Egli mostra con l’opera sua ai centomila pittori ignoranti d’Italia la parentela che ha legato Fattori a Cézanne”.
La malattia mentale, per la quale l’artista fu ricoverato per sei lunghi anni all’ospedale di Livorno ed all’ospedale psichiatrico di San Niccolò a Siena (1893-1898), ha poi contribuito a fomentare già nei contemporanei l’istanza storico-critica di un legame fra la pittura di Puccini e quella di Van Gogh, la cui opera poté ammirare, assieme a quella di Cézanne, nella celebre collezione fiorentina di Gustavo Sforni, con il quale entrò in contatto nel 1911 grazie all’amico Ghiglia.Fu proprio da questo momento che la sua carriera artistica fiorì grazie allo stesso Sforni (che possedeva quaranta dipinti di Puccini), a Mario Galli ed altri collezionisti che presero ad acquistare e commissionare dipinti. Ad una precisa committenza sembra, ad esempio, riferirsi una tela di grande formato, probabilmente identificabile con Incontro di buoi con i mulattieri, della quale l’artista scrive in una lettera da Seravezza all’amico Galli; questo documento conferma, assieme ad un buon numero di disegni e dipinti, l’interesse di Puccini per il territorio apuo-versiliese, dove soggiornò nell’autunno del 1914, riportando numerosi studi per la realizzazione della grande opera.
La città di Seravezza tornerà dunque ad ospitare l’artista attraverso un’inedita esposizione volta a rievocarne l’intero percorso figurativo, diviso dallo spartiacque degli anni della malattia in una fase precoce (prima del 1893), dominata dall’ossequio al magistero fattoriano e leghiano, ed una maturità (dal 1898), che sembra sbocciare improvvisamente, densa di riferimenti alla pittura europea, nei primissimi anni del nuovo secolo.
La mostra si propone, quindi, come un’occasione per la revisione storico-critica delle fonti ed un aggiornato sondaggio della fortuna critica dei maestri postimpressionisti d’oltralpe in Italia, nel tentativo di identificare (nell’attuale penuria di dati biografici certi) gli stimoli e gli eventi che mossero Puccini verso una moderna e personalissima rilettura di Fattori.
L’esposizione si svilupperà in cinque sezioni, la prima delle quali sarà dedicata alla formazione ed agli esordi dell’artista, con puntuali confronti con le opere di Lega, Fattori e Nomellini. La seconda sezione intende evocare, attraverso fotografie d’epoca e documenti, i sei lunghi anni di isolamento di Puccini presso gli ospedali di Livorno e Siena. La terza vasta sezione raccoglie i capolavori della maturità dell’artista riuniti per soggetto e genere: marine, campagne, scene di vita quotidiana, nature morte sveleranno la singolarità e la potenza del linguaggio pucciniano.
Una sezione sarà specificamente dedicata alla grafica di Puccini, dove la qualità del segno unita alla vastità dei formati dà luogo a risultati altrettanto spettacolari delle opere ad olio. Chiude la mostra una sala che riunisce le decorazioni eseguite dai diversi pittori che, accanto a Puccini, decorarono il Livornese Caffè Bardi, dal 1909 luogo di ritrovo degli artisti toscani sul modello del fiorentino Caffè Michelangelo.
Sezione 1 / I maestri e gli esordi
Questa sezione vuole documentare le prime prove artistiche del giovane Puccini, esclusivamente concentrate sul ritratto in ossequio all’insegnamento impartitogli dal maestro Fattori, di cui seguì i corsi di figura alla Scuola libera del nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1892. L’esempio fattoriano, che resterà fondamentale per tutta la sua carriera pittorica, è arricchito dallo studio della ritrattistica di Lega che, nel rispetto della severità costruttiva e disegnativa appresa dal più anziano concittadino, introduce nell’opera dell’artista la caratteristica sprezzatura pittorico-cromatica volta a catturare, con impressionistica libertà, i dettagli della figura. I suggerimenti dei maestri sono seguiti e “superati” attraverso una sintesi che spinge l’artista, assieme all’amico Nomellini, ad essenzializzarne il linguaggio in figure dal turbamento già novecentesco, colte contro uno sfondo dalla geometria pura e quasi astratta, che mostrano le primissime tracce del futuro colorista nell’uso di tinte smaglianti ed uniformi.
Sezione 2 / Gli anni della solitudine
In questa sezione verrà evocata l’esperienza vissuta da Puccini negli anni del ricovero presso gli ospedali di Livorno e Siena (1893-1898), nel tentativo di rappresentare quella sorta di isolamento che il pittore fu costretto a vivere in un periodo cruciale della propria esistenza e carriera artistica. La malattia, manifestatasi all’indomani della conclusione del periodo di formazione del giovane artista segna, infatti, un vero e proprio spartiacque nella sua opera. Il silenzio di questi anni, illuminato solo da rare, ma fondamentali, testimonianze scritte, prelude alla completa trasformazione della personalità pittorica di Puccini, risvegliatosi, dopo la guarigione, ad una piena maturità artistica.
Sezione 3 / Una nuova grammatica del colore
Questa vasta sezione, concentrata soprattutto sugli anni dal 1898 al 1916, intende documentare l’apparentemente improvvisa esplosione del colore come elemento strutturante l’opera pucciniana. Il percorso pittorico intrapreso con sicurezza dall’artista all’indomani della dimissione dal nosocomio senese si svolge entro i termini di una ricerca intenta a restituire sulla tela gli aspetti più intimamente vissuti del reale, emotivamente interpretato da una personalità capace di cristallizzare in uno sguardo il sentimento che la investe al cospetto dei più familiari e quotidiani scenari. Il ricorrere frequente dei medesimi soggetti nell’opera di Puccini, sottolineando l’acribia con cui il pittore studiava le variazioni luminose colte sul vero, ha suggerito di seguire un criterio tematico nel raggruppare i suoi dipinti più rappresentativi in diverse sezioni, dove si intende, dunque, documentare lo svolgersi della carriera pucciniana nei differenti generi pittorici, dalle marine della sua Livorno alle scene di vita quotidiana, per giungere alle nature morte ed al confronto con i paesaggi ritratti nei suoi rari viaggi, che sempre comportò un mutamento nella qualità del colore e della pennellata.
Sezione 4 / La grafica
La straordinaria qualità dei disegni di Puccini giustifica di per se stessa una sezione specificamente dedicata, dove i soggetti prediletti dall’artista si condensano sul foglio in strutture geometriche ed intrichi lineari pulsanti di vita. Maestro del colore, l’artista si trova perfettamente a suo agio con le tecniche del bianco e nero, rivelando, ancor più che nei dipinti, il debito con il maestro Fattori, del quale riprende, oltre al segno nervoso e sicuro, le inconsuete spazialità e, talvolta, persino i soggetti. Per chiarire la portata di questa filiazione artistica sarà opportuno confrontare i disegni con alcune acquaforti fattoriane, indiscutibili “matrici” dei carboncini pucciniani.
Sezione 5 / Il Caffè Bardi a Livorno
Questa sezione sarà dedicata alla rievocazione della decorazione pittorica del livornese Caffè Bardi, cenacolo degli artisti gravitanti attorno alla città toscana, cui Puccini contribuì con una veduta ad olio del Lazzaretto di Livorno ed un monumentale disegno a carboncino.
ORARIO: dal 12 fino al 6 settembre: dal lunedì al venerdì 17.00-24.00 | sabato e domenica 10.30-12.30 e 17.00-24.00 | dal 7 settembre al 2 novembre: dal giovedì al sabato 15.00-20.00 e domenica 10.30-20.00
INGRESSO: intero 6.00 euro | ridotto 4.00 euro | Biglietto famiglia: 12 euro (2 adulti con ragazzi fino a 14 anni) | Ultimo ingresso 30 minuti prima dell’orario di chiusura.