Fa bene il governo a voler rilanciare un’esperienza formativa e utile alla collettività
Ferruccio De Bortoli Corriere della Sera 15 aprile
I giovani italiani con un’età compresa tra i 15 e i 29 anni, che non studiano né lavorano, sono 2,3 milioni. Uno su quattro. Il presidente della Bce Mario Draghi teme che l’Europa, nel suo cupo immobilismo, rischi di perdere un’intera generazione. Il dato dell’Istat sui cosiddetti Neet (Not in education, employment or training) ne è una drammatica prova. Secondo il recente studio dell’Istituto Toniolo, il 75,6 per cento dei giovani italiani ritiene che il Paese offra le peggiori opportunità in Europa. Non si può dire che il governo non sia impegnato su questo fronte. Anche il disegno di legge sul terzo settore, sul volontariato — che la Camera dovrebbe licenziare definitivamente a metà maggio — contiene novità significative. L’articolo 8 del provvedimento, per esempio, riforma il servizio civile. Un istituto un po’ negletto e maltrattato, nonostante sia ormai un lontano parente di quello originario. La leva obbligatoria non c’è più da undici anni, e con essa l’obiezione di coscienza. Il primo a dire no al servizio militare fu, nel ’48, Pietro Pinna: è morto pochi giorni fa alla veneranda età di 89 anni. Nel 2013, per mancanza di fondi, il servizio civile venne sostanzialmente sospeso, nonostante le 80 mila domande. Una lunga diatriba giudiziaria, scaturita dal ricorso di un cittadino pachistano che lamentava l’esclusione degli stranieri residenti (succede anche questo), ha rallentato a lungo bandi e programmi. Una sentenza della Consulta ha poi provveduto ad allineare l’Italia alla normativa europea. Intanto, l’esercito dei Neet si ingrossava.
Ora il governo si propone di rilanciare il servizio civile dopo averne constatato l’importanza e l’attrattività. Nel 2015 sono stati presentati 8 mila 800 progetti che hanno impiegato 49 mila volontari. Ma le domande — e questo è il dato sul quale riflettere — sono state 160 mila. Si parla tanto di chi va all’estero per studiare e lavorare (45 mila tra i 18 e i 39 anni solo l’anno scorso), assai poco di quelli che vorrebbero rendersi utili per il loro Paese e ne ricevono, in gran parte, un netto rifiuto. La legge delega contiene alcuni passaggi importanti. Si rivolge ai giovani tra i 18 e i 28 anni. E il servizio è aperto anche agli stranieri regolarmente residenti. I volontari avranno uno status giuridico (ma non vengono assunti dallo Stato); le competenze acquisite saranno in qualche modo certificate e faranno curriculum. Il periodo d’impegno non è fisso a dodici mesi, come la leva. Minimo otto. Si poteva e si può, con i decreti attuativi, fare meglio. Anche un solo mese d’impegno può essere di grande utilità per il giovane e per l’ente che beneficia del suo lavoro e del suo entusiasmo. Una maggiore flessibilità favorisce l’alternanza studio-lavoro. Netto mensile: 450 euro (900 per i progetti all’estero).
La delega parla di «servizio civile universale», ma la scarsità dei mezzi, seppur aumentati quest’anno a poco più di 200 milioni, rende assai difficile soddisfare ogni richiesta. L’obiettivo di Renzi è di avere già nel 2017 centomila volontari. Ambizioso, ma non basta. Il servizio civile di un Paese civile dovrebbe essere aperto a tutti i richiedenti, come propone giustamente Riccardo Bonacina su Vita. Senza risorse aggiuntive da parte dello Stato e il coinvolgimento, con programmi validi e verificati, dei fondi privati. Qui subentrano i problemi più seri. Gli enti accreditati direttamente o indirettamente sono circa 15 mila. I progetti qualificanti e utili veramente al Paese e all’individuo non sono così numerosi. Enzo Manes, consigliere pro bono della presidenza del Consiglio, ha lanciato su La Stampa l’idea di istituire una sorta di tutor che promuova programmi nazionali di rilievo civico, evitando la polverizzazione delle risorse. I volontari oggi, salvo rare eccezioni, sono seguiti poco, impiegati male; sostituti avventizi di personale mancante, manodopera a basso costo. Ma è anche vero che non pochi richiedenti si aggrappano disillusi alla paghetta del servizio civile come fosse un sussidio di disoccupazione.
L’esperimento francese del service civique è universale. Lanciato da Hollande dopo la strage di Charlie Hebdo, ha avuto risultati clamorosi. Ha ridato linfa al senso di cittadinanza, assai affievolito fra i più giovani, specie immigrati di seconda generazione. Il programma di egalité et citoyenneté (16-25 anni) è ampio e comprende anche la storia e la memoria del Paese. Paga mensile netta: 573 euro. L’obiettivo di Parigi è di 350 mila volontari l’anno. Spesa: un miliardo. Il 60 per cento di chi l’ha fatto trova subito un lavoro. Un apprendistato civile e un tirocinio utile per il futuro impiego possono rappresentare un modo efficace con il quale una generazione passa il testimone a un’altra. Non se la perde per strada, come sta accadendo. Ma perché ciò accada, il servizio civile non deve essere un parcheggio grigio, un tempo nullo, come non raramente è stata la naia in Italia. Chi fa i bandi abbia a cuore il futuro dei ragazzi, non il disbrigo della propria ordinaria amministrazione. Il governo faccia un passo in più: lo renda veramente universale, lanci ogni anno un progetto per il Paese. E allora quel tempo dedicato, tra studio e lavoro, a tutelare l’ambiente, promuovere la legalità, combattere gli sprechi, assistere chi soffre, equivarrà a un master civile di cui andare fieri.