Il Galletto del Mugello
Tra storia e cronaca Sabato 30 Gennaio 2021
Un saggio di Pierluigi Farolfi ripercorre la realizzazione della strada del Muraglione terminata nel 1836. Fa seguito alla mostra e al Convegno che l’autore, assieme ad altri studiosi promosse nel 2019 a Dicomano.
Riportiamo la recensione del saggio che Andrea Ragazzini ha pubblicato sulla rivista “Annali di Romagna 2021”
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Il 19 ottobre 2019 si festeggiò al Passo del Muraglione il restauro della lapide che ricorda l’inaugurazione, nel 1836, della nuova strada rotabile voluta da Leopoldo II, che “diede facile accesso alla Romagna Toscana”, fino ad allora in una condizione di sostanziale isolamento dal resto del Granducato.
L’idea del restauro era stata promossa da associazioni e comitati sia sul versante romagnolo che su quello toscano (L’accademia degli Incamminati di Modigliana, I Comitati Toscani per il Risorgimento), che avevano poi anche raccolto con una sottoscrizione i fondi necessari per finanziare l’iniziativa. Gli stessi promotori hanno poi pensato che fosse ugualmente indispensabile un approfondito restauro della memoria storica di quella straordinaria impresa costruttiva, con un importante convegno e una mostra storico-fotografica dal titolo “1836: ecco il Muraglione che unisce“, ospitati, nel novembre successivo, dal Comune di Dicomano.
Un saggio di Pier Luigi Farolfi, curatore della mostra insieme a Susanna Rontani, ripercorre con puntuali riferimenti documentari e iconografici la vicenda progettuale che portò alla realizzazione dell’opera in un arco di tempo di oltre cinquant’anni: i dibattiti sul tracciato, le grandi difficoltà tecniche e finanziarie, i benefici economici e sociali che ne derivarono. È una vicenda che inizia con due visite nella Romagna Toscana (nel 1777 e nel 1781) del Granduca Pietro Leopoldo, il grande sovrano riformatore che nei venticinque anni del suo regno percorse in lungo e in largo il Granducato per conoscerne di persona i problemi. Constatata la pessima situazione delle comunicazioni viarie tra la Romagna e la Toscana, nel 1782 il Granduca deliberò la costruzione di un primo tratto di strada rotabile tra Pontassieve e Ponticino, poco prima di San Godenzo, realizzato tra il 1783 e il 1787, incaricando poi il matematico Pietro Ferroni di studiare i possibili percorsi per scavalcare l’Appenino e raggiungere il confine con lo Stato Pontificio. I progetti erano in tutto sei, anche se le direttrici principali erano sostanzialmente tre: una verso Faenza, dal Mugello alla valle del Lamone, attraverso il passo della Colla di Casaglia; una verso Forlì, da San Godenzo alla Valle del Montone, attraverso il passo della Colla di Pratiglioni (poi passo del Muraglione); una terza da Pontassieve a Meldola, attraverso la Consuma.
Il dibattito sulle difficoltà, i vantaggi e i costi delle diverse soluzioni proposte proseguì a lungo anche sotto Ferdinando III, succeduto al padre che nel 1790 era divenuto Imperatore d’Austria. Farolfi ne dà conto con una approfondita analisi dei pro e dei contro, sia dal punto di vista tecnico che da quello dei costi, ma anche dei divergenti interessi delle comunità romagnole, ciascuna delle quali, comprensibilmente, faceva pressioni perché fosse scelto il percorso più favorevole al proprio territorio.
Fu Leopoldo II, sul trono granducale dal 1824, a prendere la decisione definitiva, scegliendo il percorso che da Ponticino di San Godenzo (dove si era fermata la strada realizzata da Pietro Leopoldo) passava per la Colla di Pratiglioni, San Benedetto in Alpe, Bocconi, Portico, fino a Rocca San Casciano. Lo giudicava il percorso più agevole e conveniente ed era d’altro canto anche quello che avrebbe privilegiato il nonno Pietro Leopoldo. Nel 1831 conferì l’incarico di progettare e realizzare la strada all’ingegnere Alessandro Manetti, professionista allora già molto affermato, figlio dell’architetto e paesaggista Giuseppe. Diviso il grande cantiere in otto sezioni, due in Toscana e sei in Romagna, l’opera fu completata nell’arco di quattro anni, dal 1832 al 1836. Sulla Colla di Pratiglioni il Manetti ritenne necessario costruire “un grosso muraglione a vela” per creare due carreggiate, in modo che i veicoli potessero scegliere l’una o l’altra per proteggersi dai forti venti, a seconda della loro direzione.
L’ultima ampia parte del saggio è dedicata dall’autore alle ricadute economiche e sociali che la nuova strada comportò per tutta la vallata del Montone e che, come si può immaginare, furono molto importanti, a partire dal gran numero di lavoratori occupati per la sua realizzazione. La fine dell’isolamento rispetto al resto del Granducato e la possibilità di rapidi spostamenti di persone e merci portò agli abitanti di quei territori nuove possibilità di sviluppo e benessere.
Tra i molti esempi riportati da Farolfi, si può citare il caso di San Benedetto, dove già nel 1836 un mugnaio ottenne di costruire un mulino nei pressi della nuova rotabile. Tre anni dopo gli abitanti, su iniziativa del parroco, chiesero che fosse realizzata una strada di collegamento tra la Provinciale di Romagna e il Poggio, la parte alta del paese dove si trovavano la Chiesa, le scuole e la maggior parte delle botteghe. La strada però fu realizzata solo nel 1880, dopo un lungo contenzioso con il Comune di Portico, che non intendeva contribuire alle spese.
Ma probabilmente il paese che trasse il maggior vantaggio dalla nuova situazione fu Rocca San Casciano, che fu promossa a capoluogo del Circondario, con l’istituzione di un Tribunale e di un Regio Commissariato, e che per questo fu anche il primo centro della valle a essere dotato di illuminazione pubblica, allora indubbiamente uno dei simboli del progresso.
Andrea Ragazzini
PIER LUIGI FAROLFI: La nuova strada rotabile di Romagna (1782-1836). Progettazione, costruzione e sue ricadute socio-economiche nelle Comunità della Valle del Montone, in “Alpe Appennina”, rivista cartacea e on-line, n. 2 / 2020, Monti Editore, Cesena, pp. 9-50.