Ernesto Galli Della Loggia Corriere della Sera 9 giugno
Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato proprio un federalista doc, uno dei capi di quei leghisti che da anni ci fanno una testa così sui mitici «territori», sulle loro esigenze e sui loro diritti inalienabili, a farci sapere che in realtà quanto sopra vale sì per i «territori», ma solo a un patto: che si tratti dei «territori» dove comandano loro? Il chiarimento – davvero istruttivo – lo si deve al presidente della Lombardia, Roberto Maroni. Il quale, irritatissimo perché alcuni sindaci della stessa Lombardia avevano osato contro il suo avviso dichiararsi disponibili ad accogliere un certo numero di immigrati, non ha trovato di meglio che minacciarli all’istante di togliere ai loro Comuni i contributi regionali. Come un qualunque prefetto dell’Italietta centralista del tempo che fu.
Guai però se questo folklore del federalismo italiota ci servisse per mettere la sordina sulla questione ogni giorno più grave che rappresenta l’immigrazione incontrollata che al ritmo di mille-duemila persone al giorno si rovescia attraverso il Mediterraneo sulle nostre coste. Mentre altre centinaia e centinaia di migliaia, lo sappiamo, attendono sull’altra riva. Si tratta di un fenomeno di carattere epocale. È qualcosa che lasciato a se stesso costituisce un pericolo per aspetti decisivi della nostra vita, come collettività statale e nazionale. Esso ad esempio mette in contrasto le varie parti geografiche del Paese schierando, come già si vede oggi, l’una contro l’altra .
Avvelena le relazioni tra i diversi strati sociali della popolazione, dal momento che è solo su quelli meno abbienti che ricadono in maniera assolutamente sproporzionata i costi di ogni tipo del fenomeno. Nell’esistenza quotidiana di milioni di nostri concittadini, spesso in quella dei più deboli ed anziani, diffonde poi (ed è inutile obiettare che si sbagliano: anche perché più di una volta, invece, non si sbagliano per nulla) disagi, insicurezze, paure, che si traducono in pericolosi riflessi di tipo securitario fuori misura; rischia infine di alimentare posizioni ideologiche dai contenuti aggressivi e radicali in grado di modificare gravemente il nostro quadro politico.
L’immigrazione insomma è l’opposto della normale amministrazione, è potenzialmente un terremoto. E come tale va trattata: non può essere affrontata solo con le categorie della benevolenza umanitaria (a cui pure nessuno di noi intende sottrarsi), così come non si può pensare di affidarne la gestione a una flottiglia della Marina e alla debole guida del ministro Alfano.
Va trattata tendenzialmente come una vera e propria emergenza nazionale, e tutto il governo, a cominciare dal presidente Renzi, deve metterla ai primi posti delle sue priorità, muovendosi in modo adeguato. Innanzi tutto nei confronti dell’Europa: e cioè seguendo finalmente una linea decisa, molto decisa, anche fino alla durezza (scelga Renzi quale, purché ne scelga davvero una). E quindi all’interno, chiamando tutto il Paese (non solo le forze politiche) ad una sorta di grande consultazione collettiva, ad una presa d’atto della nostra situazione storica, ad una discussione sul nostro futuro, per stabilire insieme il da farsi: a cominciare – questa la prima proposta che personalmente mi sentirei di fare – da una nuova, non più rinviabile, legge sulla cittadinanza. È in ballo il destino dell’Italia: il presidente del Consiglio ci dica che cosa pensa .