Emilio Gentile IL sole 24 Ore 8 ottobre
La storia universale, la storia di quanto l’uomo ha compiuto in questo mondo altro non è, in sostanza, se non la storia dei grandi uomini che hanno operato quaggiù. Furono questi Grandi, i condottieri dell’umanità; gli ispiratori, i campioni e, in un senso vasto, gli artefici di tutto quello che la moltitudine collettiva degli uomini è riuscita a compiere e conseguire». Così esordiva il filosofo scozzese Thomas Carlyle iniziando a Londra nel 1840 un ciclo di conferenze sul tema «L’eroe, il culto dell’eroe e l’eroico nella storia». Sette anni dopo, due giovani Karl Marx e Friederich Engels che vivevano a Londra affermavano che «la storia di ogni società fino a questo momento, è storia di lotte di classi», assegnando alle masse proletarie la missione di «fare la storia» per emancipare l’umanità e creare, con il comunismo, una società senza classi di liberi e di eguali.
Negli ultimi centosettantasette anni, il corso della storia sembra aver dato più spesso ragione a Carlyle che ai fondatori del comunismo. Può darsi che nell’epoca contemporanea siano le masse a fare la storia, come sosteneva Marx. Ma persino i movimenti che hanno avuto origine dalle sue teorie, a partire dallo stesso “marxismo”, sono stati identificati con un singolo individuo: leninismo, stalinismo, maoismo, castrismo. Lo stesso Lenin dopo la rivoluzione di ottobre, asseriva che per realizzare il socialismo era necessaria «la sottomissione senza riserve delle masse alla volontà unica» di uno solo [il corsivo è di Lenin]. E toccò a Lenin, dopo la morte, di esser trasfigurato in un eroe di Carlyle, ed essere esposto imbalsamato alla venerazione perpetua delle masse. E la stessa trasfigurazione volle imporre Stalin per la sua persona, da vivo e da morto.
Nel mondo attuale, nonostante il quotidiano spettacolo di masse in movimento, risuona ovunque l’invocazione dell’uomo forte; e nuovi uomini forti si esibiscono nell’esercizio del potere, promettendo di guidare le masse disorientate verso la salvezza. Anche se in tempi recenti e meno recenti, sono state le donne, da Indira Gandhi a Margaret Thatcher, ad assumere il ruolo attribuito all’uomo forte, quello, cioè, di governare con autorità, decisione, energia, ed efficacia di risultati, rimanendo per anni al potere col consenso dei governati. Oggi, fra i governanti delle democrazie occidentali, il primato di longevità al potere spetta ad Angela Merkel.
Il culto del grande uomo, nella storia contemporanea, ha avuto origine dal «romanticismo dello straordinario», come lo definisce Jean-Baptiste Decherf, psicoanalista e docente della facoltà parigina di Scienze politiche, nella sua indagine sul «grande uomo e il suo potere». Egli dimostra che è stata soprattutto la cultura romantica a coltivare l’esaltazione del grande uomo come personalità eccezionale, che giganteggia sopra l’anonima mediocre comunità dei mortali, suscitando nelle masse il «fanatismo dell’uomo per l’uomo», come lo definiva Gustave Flaubert nel 1846.
Alla genesi del fenomeno moderno del grande uomo, il «romanticismo dello straordinario» contribuì con la trasfigurazione eroica di Napoleone. Duecentoundici anni fa, il 13 ottobre 1806, Hegel vide lo Spirito del Mondo passare a cavallo sotto la sua finestra, incarnato nella piccola figura di un potente imperatore, assurto alla gloria del potere per virtù della sua possente volontà di dominio. Da Napoleone, personalità «cosmico-storica», come la definiva Hegel, ha avuto inizio nell’epoca delle masse il nuovo culto dei grande uomini, altrimenti denominati uomini rappresentativi, uomini provvidenziali, capi carismatici, individui storici.
Da Napoleone a De Gaulle, la Francia è stato il Paese europeo dove si sono più spesso avvicendati capi con l’aureola dei grandi uomini. E francesi sono gli studiosi che per primi hanno analizzato, oltre cinquanta anni fa, il fenomeno della “personalizzazione del potere”, erroneamente ritenuto un prodotto della attuale crisi delle democrazie (La personalisation du pouvoir, Presse Universitaire de France, Paris 1964). Come francesi sono gli studiosi ai quali si devono le più recenti riflessioni sui grandi uomini (George Minois, Le culte des grand hommes. Des héros homériques au star system, Audibert, Paris 2005 ; Didier Fischer, L’homme providentiel de Thiers à de Gaulle, L’Harmattan, Paris 2009; Jean Garrigues, Les hommes providentiels, Seuil, Paris 2012).
Decherf concentra la sua attenzione sul contributo che la letteratura, la storiografia, la filosofia, la psicologia hanno dato alla elaborazione retorica e simbolica del «romanticismo dello straordinario», come cultura dell’immaginario per la costruzione del grande uomo. A tale cultura hanno consapevolmente attinto i capi, sia democratici sia totalitari, che nel corso del Novecento hanno suscitato fra le masse, o imposto alle masse, per produrre la trasfigurazione eroica della loro personalità, come incarnazione mistica di una collettività, avvolgendo la realtà della politica in un’esaltazione onirica capace di condizionare il pensiero e il comportamento della masse.
Mussolini, secondo Decherf, è stato il primo capo contemporaneo ad avvalersi del «romanticismo dello straordinario», attraverso la istituzione del culto del duce nella religione politica del fascismo. E lo studioso francese ha studiato il caso di de Gaulle come ultimo esempio di trasfigurazione onirica della realtà, attraverso il «romanticismo dello straordinario», da parte di un capo che si considerava incarnazione mistica della nazione.
Cosa resta oggi del «romanticismo dello straordinario»? Potrebbe un Hegel del Ventunesimo secolo osservare lo Spirito del Mondo passare sotto la sua finestra incarnato in Angela Merkel? La domanda è solo apparentemente stravagante. Stiamo infatti vivendo in un’epoca di acque tempestose, dove le masse invocano nuovi capi, ai quali affidare il comando della nave, affinché le porti in acque tranquille. Anche se oggi, al «romanticismo dello straordinario», si è sostituito il cinismo dello straordinario.