PALAZZO GUICCIOLI Via Camillo Benso Cavour 54 Ravenna
Il Risorgimento si fa epica narrazione
«Non che importi molto, supponendo che l’Italia possa esser liberata, chi o cosa sia sacrificato. È uno scopo altissimo, è la poesia stessa della politica. Basta il pensiero: un’Italia libera!!!»: parole vibranti, scritte non da un patriota italiano ma da un protagonista del Romanticismo inglese (e non solo) come George Byron, nel suo Diario ravennate, il 18 febbraio 1821.
Affiliato alla Carboneria, per i moti rivoluzionari del 1820-21 aveva fornito armi e denaro credendo nella causa italiana e confidando che i romagnoli si unissero a Napoli. Per questo il ponte tra il museo Byron e quello del Risorgimento, a Palazzo Guiccioli, è indovinato: i musei si parlano, i rimandi sono diversi (Byron, tra l’altro, soggiornò in cinque stanze dell’edificio al primo piano, dove ora è allestito lo spazio risorgimentale) così come gli intrecci tra i vari personaggi e il territorio. Si ha la possibilità di ripercorrere la storia dal triennio giacobino (1796-1799) – e la speranza che suscitò, con l’Albero della Libertà posto in città nell’attuale piazza del Popolo nel 1797 – all’Unità d’Italia, passando per i momenti fondamentali, tra afflati rivoluzionari e delusioni, nuovi moti e restaurazioni. Di sala in sala si seguono gli eventi di anni cruciali. C’è l’appello di Mazzini dalle pagine della «Giovine Italia» ai romagnoli nel 1832, perché accolgano le voci dei loro fratelli non lasciandosi sedurre dalle «divisioni fatali», ma siano compatti nel «grido di unione, indipendenza e libertà». Si rievoca l’illusione della Repubblica Romana che pure accese gli animi proclamando il Papato «decaduto di fatto e di diritto dal Governo temporale dello Stato Romano» e abolendo il Sant’Uffizio: un esperimento entusiasmante quanto effimero, meno di un anno di vita tra il 1849 e il 1849 con gli Austriaci – cui Pio IX aveva chiesto aiuto – che già alla fine di maggio ’49 entravano a Ravenna (parte dello Stato pontificio). Si segue il drammatico passaggio di Garibaldi in fuga verso il Veneto nel luglio di quell’anno, con i romagnoli che partecipano al salvataggio dell’eroe ma nulla possono per Anita: incinta, piegata dalla fatica e dalla febbre malarica, morirà a 28 anni nella fattoria Guiccioli, alle porte di Ravenna. E poi lo Statuto Albertino (ne è esposto un esemplare in legno intagliato), le successive guerre d’indipendenza, l’azione di Cavour, la spedizione dei Mille sino al momento atteso dell’Italia unita.
Tutto questo viene mostrato in una modalità che privilegia la parola, il racconto attraverso dispositivi – messi a punto dal gruppo di ricerca multimediale Studio Azzurro – che ricreano le scene del tempo, con gli effetti sonori (il vento, le pallottole, lo scalpiccio dei cavalli, i rumori di fondo), propongono cartine che si animano facendo vedere i luoghi, prestano voce agli scritti dei protagonisti. Questo non vuol dire che il museo non offra oggetti, cimeli, volumi, dipinti, in altre parole quanto si vede in analoghi spazi, più tradizionali. Sul fronte Garibaldi, ad esempio, sono in mostra reliquie preziose come il cappello e il bastone donati a chi lo aveva aiutato, il mantello nero regalato a Ercole Saldini, che gli aveva fatto da guida durante la fuga. E poi compaiono divise, fiaschette per polvere da sparo, gavette, né mancano ritratti, proclami, monete. Importanti sono anche le singole personalità cui viene riconosciuta importanza, come accade per il patriota Luigi Carlo Farini e la sala a lui dedicata.
La peculiarità del museo, però, è proprio quella del risalto dato ai testi, «a significare – sottolinea la direttrice Alberta Fabbri – che le parole e le idee possono cambiare il mondo», quindi presentando il Risorgimento non come «un adempimento scolastico da soddisfare ma come la premessa della libertà e dei diritti di cui godiamo oggi». La chiave è anche nel coinvolgimento del pubblico, che ha a disposizione i pannelli esplicativi in ciascuna sala (tutti in italiano e in inglese) e le pillole di testo contenute in piccoli riquadri che precisano un soggetto, delineano i contorni di un personaggio o aggiungono dettagli sulla situazione economico-sociale.
Ma visitatrici e visitatori sono chiamati a fare di più: a interagire, attivando i dispositivi. Il che significa, di fronte a una scacchiera dove sono disposti pedoni equivalenti ai protagonisti, prendere il “pedone” Mazzini e posizionarlo in un certo riquadro che fa partire un video e una voce. O significa aprire uno scrigno innescando un filmato, o ancora estrarre una penna dal calamaio e leggere uno scritto che si visualizza (i contenuti sono stati selezionati e forniti dal comitato scientifico). Chi guarda e gira di sala in sala è stimolato a sapere e ascoltare, a osservare e riflettere sulle radici della nostra democrazia. È colto, poi, dallo stupore se per caso alza lo sguardo verso il soffitto: Palazzo Guiccioli, già pregevole di per sé nella sua maestosità, in alcuni ambienti si rivela sorprendente per la ricchezza e finezza di affreschi e decorazioni.
Chiudono l’esposizione due collezioni su Garibaldi provenienti dalla Fondazione Bettino Craxi e dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia, con dipinti, memorabilia e gli oggetti più svariati sull’amatissimo eroe. Del resto, non è un caso se la produzione editoriale che lo riguarda continua a essere feconda e, in qualche caso, suggestiva. Come è accaduto nell’estate del 2019 quando lo scrittore inglese Tim Parks e sua moglie Eleonora decisero di rifare a piedi il percorso dal Lazio alla Romagna proprio come lo fece lui nell’estate 1849: ne venne fuori un diario, Il cammino dell’eroe. A piedi con Garibaldi da Roma a Ravenna (Rizzoli), che vale la pena leggere
Eliana di Caro Sole 24 ore 15 dicembre 2024
Pietro Bouvier Giuseppe Garibaldi ed il maggiore Leggero in fuga trasportano Anita morente 1864