Il concerto del Conservatorio Cherubini, promosso tra gli altri dal Comitato Fiorentino del Risorgimento, si è tenuto mercoledì 19 aprile a Santa Croce.
Musica e Risorgimento vivono insieme nell’Ottocento, l’una alimentando l’altro e viceversa. Non solo in Italia, ma, per esempio, a Bruxelles, dove, nel 1830, la rappresentazione de La muta di Portici di Daniel Auber, ricca di motivi esaltanti lo scontro tra libertà e oppressione, infiamma il pubblico e accende l’insurrezione che porterà alla nascita del regno indipendente del Belgio.
Un anno prima era stato il nostro Gioacchino Rossini a proporre, nella sua ultima opera, il Guglielmo Tell, del 1829, la figura e le imprese dell’eroe svizzero, combattente contro gli Asburgo per l’indipendenza, la libertà, la
costituzione elvetica. E già nel 1818, a Napoli, la prima rappresentazione di
Mosè aveva raccontato in musica la storia del liberatore di un popolo
schiavo, che invoca l’aiuto di Dio per la desiderata libertà. Musica e parole
del sublime coro “Dal tuo stellato soglio” risuoneranno per tutto il secolo:
dal 1822, quando a “La Fenice” si manifesterà la commozione dei veneziani
fin dalle prime note della preghiera, al 1887 quando, in piazza Santa Croce,
i bambini delle scuole fiorentine accompagneranno con quel canto la
traslazione della salma di Rossini nel “tempio delle itale glorie“.
Dello stesso periodo è la Norma di Vincenzo Bellini che, su libretto di Felice
Romani, narra lo scontro tra i Druidi e i Romani invasori delle Gallie. Il coro
del secondo atto “guerra, guerra” (allegro feroce è l’annotazione di pugno
di Bellini) sarà cantato dal pubblico in piedi, quasi dichiarazione volontaria
– di guerra, appunto – contro lo straniero occupante; fino a provocare,
nelle rappresentazioni a La Scala – narrano le cronache – ripetuti incidenti
tra gli spettatori italiani e la guarnigione austriaca.
Per non parlare de I Puritani, l’opera composta a Parigi, su libretto di Carlo
Pepoli, il patriota in esilio dopo i moti del 1831. Brano culminante il duetto
del secondo atto, “Suoni la tromba e intrepido / io pugnerò da forte: / bello
è affrontar la morte / gridando libertà”, che scatena il delirio a Parigi – è lo
stesso Bellini, entusiasta, che lo racconta in una lettera all’amico napoletano
Francesco Florimo – nel Teatro Italiano affollato per l’occasione.
“Parlavano “ di libertà, negli stessi anni, le composizioni pianistiche di
Fryderyk Chopin, da alcune mazurke allo Studio in do minore op. 10 n. 12,
detto “della rivoluzione”, dedicato dal musicista ai compatrioti polacchi
insorti per ottenere l’indipendenza dai Russi, stranieri occupanti.
Musica e Risorgimento voglion dire, sopra tutti, Giuseppe Verdi. Gli Italiani
sottomessi ai governi assoluti egemonizzati dall’impero austriaco si riconoscono
negli ebrei schiavi di Nabucodonosor. L’opera su libretto di Temistocle
Solera, rappresentata a La Scala nel marzo del 1842, ottiene lo strepitoso
successo che segna l’inizio della trionfale carriera artistica del maestro
di Busseto. I versi “Arpa d’or dei fatidici vati, / perché muta dal salice pendi”,
nati dal Salmo 137 dell’Antico Testamento, diventano popolari con
l’immortale melodia verdiana, per arrivare, nel secolo successivo, fino alla
poesia di Quasimodo, Alle fronde dei salici, a dire il significato eterno della
rivendicazione di libertà.
Dal Nabucco ai Vespri Siciliani, da Ernani a Giovanna D’Arco, da Rigoletto fino
al Macbeth del coro “Patria oppressa”, l’opera rappresentata proprio a
Firenze, a La Pergola, sotto la direzione dello stesso Verdi, le note e le parole
della musica – affidate, nei momenti più intensi, al canto del coro – si diffondono
all’unisono con gli ideali e la storia del nostro Risorgimento.
Musica e patriottismo: l’acronimo verrà naturale: viva Verdi, viva Vittorio
Emanuele Re Di Italia. Espressione di una volontà, di una scelta, di una
preferenza per le libertà statutarie, garantite dalla monarchia costituzionale
dei Savoia e da un Parlamento eletto, animato dalla geniale opera
politica del conte di Cavour, del quale Verdi è estimatore dichiarato. Così
come è estimatore, deciso, convinto, di Alessandro Manzoni. Versi manzoniani
e musica verdiana: stesso ritmo. Marzo 1821: “… O stranieri, nel
proprio retaggio / torna Italia e il suo suolo riprende; / o stranieri, strappate
le tende/ da una terra che madre non v’è”. Rigoletto: “… Sì, vendetta,
tremenda vendetta / di quest’anima è solo desio… / di punirti già l’ora
s’affretta, / che fatale per te suonerà”. Poesia e opera, stessa denuncia,
stesso incitamento.
E, tra il poeta e il musicista, altre indimenticabili, esemplari consonanze:
Carme in morte di Carlo Imbonati: “non ti far mai servo: / non far tregua coi
vili…” Rigoletto: “Cortigiani, vil razza dannata…”
L’affetto, l’ammirazione di Verdi per Manzoni sono autentici. Profondo,
dunque, il dolore del Maestro per la morte del grande romanziere e poeta.
Da tali sentimenti nasce la Messa da Requiem, il capolavoro che resta documento
straordinario della capacità di compositore e insieme della sensibilità
umana e artistica di Giuseppe Verdi.
Adalberto Scarlino