Lettere a Sergio Romano Corriere della Sera 7 aprile
Con una risoluzione del 10 marzo, il Parlamento europeo ha inviato un forte segnale sui rapporti dell’Ue con l’Eritrea, dove i giovani fuggono dal servizio militare a tempo indeterminato e da gravi violazioni dei diritti umani. L’Italia per quasi un secolo ha avuto un ruolo importante in Eritrea e ancora oggi la più importante scuola italiana fuori dal nostro Paese è ad Asmara. Gli eritrei sono il secondo gruppo di rifugiati che arrivano in Italia, dopo i siriani. Che io sappia, il nostro governo non è finora intervenuto con l’Eritrea sia con aiuti economici e progetti di cooperazione, sia per il rispetto dei diritti civili e il miglioramento del tenore di vita. È possibile?
Renato Gaeta
Caro Gaeta,
Dalla fine del periodo coloniale italiano, l’Eritrea, con qualche felice parentesi, è in guerra: con l’Etiopia (di cui è stata provincia autonoma per alcuni anni), con lo Yemen, con il Sudan, con Gibuti e con se stessa. Non è sorprendente che molti giovani cerchino di andarsene ed è una buona notizia che il Parlamento europeo cerchi di attrarre l’attenzione dei governi su questo sfortunato Paese.
Con l’Eritrea l’Italia ha indubbiamente un obbligo morale. La sua storia coloniale cominciò nel novembre 1869, quando un esploratore, Luigi Sapeto, comprò la baia di Assab per l’armatore genovese, Giuseppe Rubattino, che nove anni prima aveva fornito ai Mille di Garibaldi le navi per la spedizione siciliana. Il governo italiano, allora a Firenze, era informato dell’acquisto, ma stette a guardare e si limitò a inviare nella regione un commissario civile. L’Italia era troppo giovane e gracile per dedicare tempo e denaro alla gestione di una colonia. Ma negli anni seguenti furono aggiunti alla baia di Assab altri territori che si affacciavano sul Mar Rosso e la presenza italiana nella zona divenne sempre più consistente.
Il 1° gennaio 1890, il governo italiano, dopo avere rilevato la proprietà di tutte le zone acquistate, decise di fare ordine con un Regio decreto in cui, all’articolo 1, era scritto: «I possedimenti italiani del Mar Rosso sono costituiti in una sola colonia col nome di Eritrea». La scelta del nome (dal greco erythraios, rosso) fu probabilmente di Carlo Pisani Dossi, uno scrittore che lavorò con Francesco Crispi e divenne capo di gabinetto del ministero degli Esteri. Ma già otto anni prima, quando Rubattino aveva ceduto al governo italiano la proprietà di Assab, Pasquale Stanislao Mancini, grande studioso di diritto internazionale e ministro degli Esteri, aveva definito, in una relazione al Parlamento, i criteri a cui la politica coloniale italiana avrebbe dovuto ispirarsi «per la elevazione materiale e morale delle popolazioni locali, al fine di metterle in grado di arrivare a reggersi da se stesse».
Quell’impegno non fu sempre mantenuto, ma precede di qualche decennio i principi che verranno adottati dalla Società delle nazioni per la concessione dei mandati coloniali alle potenze europee dopo la fine della Grande guerra.
Ancora una informazione, caro Gaeta. Asmara non ha solo una grande scuola italiana. Ha anche, insieme a Massaua, parecchi esempi di architettura futurista e modernista degli anni Venti e Trenta. E fino a qualche anno fa lo Stato italiano pagava una modesta pensione annuale (100 euro) ai vecchi ascari che avevano combattuto nell’esercito italiano durante la seconda guerra mondiale.
Sergio Romano