Giovanni Belardelli Il Foglio Quotidiano18 maggio 2023
In America almeno un paio di Padri fondatori – Thomas Jefferson e Alexander Hamilton – sono stati colpiti negli ultimi tempi dagli strali della cancel culture per aver impiegato schiavi (cosa che, come è noto, all’epoca non era un reato). In Gran Bretagna, qualche mese fa, un sondaggio ha segnalato che solo un quinto dei giovani ha un’opinione positiva di Winston Churchill, considerato da molti di loro soprattutto un razzista e un colonialista. Da noi questo genere di discorsi, per fortuna, sembra non aver ancora attecchito, probabilmente perché non abbiamo, come in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, una altrettanto significativa presenza di discendenti di schiavi o comunque di popolazioni che in passato sono state colonizzate (già in Francia la situazione è diversa perché questa presenza c’è ed è importante). Ma proviamo a giocare d’anticipo e a immaginare cosa accadrebbe se applicassimo anche all’Italia i criteri della cancel culture, se “decolonizzassimo” la nostra storia come si fa nel mondo anglosassone bandendo chi in passato abbia anche solo accettato il colonialismo.
Per non essere da meno degli americani, prendiamo anche noi un indiscusso padre della patria, Giuseppe Mazzini. Disinteressiamoci per un momento di tutte le cose buone che ha fatto (ne avevano fatte non poche, del resto, anche Jefferson, Hamilton, Churchill e tanti altri) e occupiamoci di ciò che pensava del colonialismo. Ebbene, ne dava un giudizio decisamente positivo. Questo può sembrare strano, visto che fu uno dei massimi teorici dell’autodeterminazione dei popoli e che vagheggiava un’umanità (con la maiuscola) composta di nazioni libere e indipendenti, tra loro associate secondo un disegno di collaborazione dei popoli che aveva per lui il crisma di un comandamento divino. È vero però che, per Mazzini il concetto di Umanità era sostanzialmente equivalente al concetto di Europa, considerata la “leva del mondo”, cioè la protagonista del processo di civilizzazione. E proprio il colonialismo europeo era a suo avviso uno degli strumenti di espansione della civiltà. Lo scrisse nel 1871, un anno prima della morte, in un testo generalmente escluso dalle antologie dei suoi scritti e che viene spesso valutato (e ignorato) alla stregua di una momentanea défaillance. Ma non è così, non si trattava affatto di un giudizio estemporaneo visto che fin dagli anni Trenta Mazzini aveva considerato le conquiste coloniali come il prodotto dello stesso spirito rivoluzionario che attraversava l’intera Europa provocando rivolgimenti politici, sociali, nazionali e che imponeva anche di piantare “la bandiera dell’incivilimento europeo sulle spiagge africane”. Mazzini credeva fermamente in un futuro “affratellamento di tutte le razze”, ma dopo che ciascuna fosse stata portata nell’alveo della civiltà anche grazie al colonialismo europeo.
Le conquiste coloniali rappresentavano un passaggio epocale così importante da indurlo a giustificarne almeno in parte gli aspetti violenti. Fino a un certo punto, ovviamente. Nel 1845, scrivendo alla madre, ne condivideva il giudizio di condanna delle “infamie” compiute dai francesi in Algeria: era appena avvenuto uno dei tanti eccidi che abbiamo dimenticato (o forse non abbiamo mai conosciuto), lo sterminio dei componenti di un’intera tribù – uomini, donne e bambini – soffocati dalle fiamme e bruciati vivi nelle grotte dei monti Dahra, dove si erano rifugiati. Mazzini considerava fatti del genere orribili e infami, anche perché tradivano quella missione di civiltà di cui era convinto: “Io credo che l’Europa sia provvidenzialmente [cioè per volere della Provvidenza] chiamata a conquistare il resto del mondo all’incivilimento progressivo”. Non dovrebbe stupire allora che, nel suo scritto del 1871 di cui si diceva, esortasse anche l’Italia a impegnarsi nelle conquiste africane: “Nel moto inevitabile che chiama l’Europa a incivilire le regioni africane, come Marocco spetta alla Penisola iberica e l’Algeria alla Francia, Tunisi […] spetta visibilmente all’Italia”. Un’Italia che si doveva anzi affrettare, secondo lui, perché non vi arrivassero prima i francesi (come invece poi accadde).
Dovremmo dunque “cancellarlo” anche noi dalla nostra storia per valutazioni del genere? Ovviamente sarebbe assurdo perché le sue idee sul colonialismo erano allora diffuse tra liberali, democratici e perfino socialisti. E proprio certe sue affermazioni sull’espansione dell’Europa fuori dai suoi confini ci aiutano a capire come la storia sia cosa diversa da certe ricostruzioni in bianco e nero che vengono diffuse oggi, con l’intenzione di “correggere” il passato epurandolo da quelli che sono ritenuti i “cattivi”, e magari erano solo (come è ovvio) uomini del loro tempo. Il Mazzini che esortava gli europei a conquistare l’africa era infatti lo stesso che difendeva libertà e indipendenza delle nazioni come principio di un nuovo ordine internazionale, esercitando un’influenza vasta e duratura. Il presidente americano Woodrow Wilson, grande fautore del principio di autodeterminazione dei popoli, recandosi a Parigi nel 1919 per la conferenza di pace, passò da Genova per deporre una corona di fiori sul monumento a Mazzini. Alle idee di quest’ultimo si richiamarono molti esponenti indipendentisti dei vari continenti e fra essi lo stesso Gandhi, leader dell’indipendenza di un paese – l’india – la cui colonizzazione Mazzini aveva giudicato positiva. Ma la storia è fatta di questi chiaroscuri, di processi complessi e contraddittori.