Dino Cofrancesco è affezionato allo Stato nazionale.E nel libro Per un liberalismo comunitario che raccoglie i suoi interventi su «Huffington Post», ne difende con vigore le ragioni. Dove altro, si chiede, hanno mai trovato un fondamento solido i valori democratici? «È nel terreno vivente della nazione — scrive —, non nell’astratto empireo dei diritti universali destinati a rimanere sulla carta, che libertà, eguaglianza e dignità si fanno valere concretamente». Difficile dargli torto, soprattutto quando vediamo l’Iran teocratico assumere importanti incarichi sui diritti umani in sede Onu.
Il problema è che in Italia lo Stato unitario è nato gracile, come emerse in occasione della Prima guerra mondiale. L’intervento nel conflitto fu imposto da una minoranza, in Parlamento e nel Paese. E il Partito socialista, al contrario delle forze del medesimo orientamento negli altri grandi Paesi occidentali, rifiutò di appoggiare lo sforzo bellico, per poi infatuarsi della rivoluzione bolscevica e aderire in blocco alla Terza Internazionale fondata da Vladimir Lenin. Un errore tragico, di cui approfittarono i fascisti per dipingere il Psi come nemico dell’Italia e condurre l’offensiva squadrista in nome della nazione.
Ne scaturì una dittatura che, come sostiene Cofrancesco polemizzando con «i cantori dell’antifascismo», non fu il «male assoluto», ma certo sequestrò abusivamente il patriottismo, identificandolo con la causa del partito unico. Poi venne il disastro dell’8 settembre, a cui seguì la guerra civile. Non c’è da stupirsi che in Italia il senso dell’appartenenza nazionale risulti più debole che altrove. E ci sono anche intellettuali, biasimati a giusto titolo da Cofrancesco, che lo considerano dannoso in quanto tale.
È anche vero però che l’elettorato italiano si è dimostrato sensibile al richiamo del sovranismo e della difesa dei confini. Come spiegare altrimenti i successi elettorali eclatanti colti in questi anni da forze come Fratelli d’Italia, la Lega, gli stessi Cinque Stelle? Solo che è facile scagliarsi contro l’Europa dei banchieri e l’immigrazione di massa nei comizi, molto più difficile districarsi di fronte ai mercati finanziari e ai flussi dei fuggiaschi dalla miseria e dalle guerre. Così coloro che avevano predicato l’uscita dall’euro hanno dovuto fare una rapida marcia indietro una volta giunti al governo. E Giorgia Meloni nel 2023 ha assistito impotente, nonostante i proclami, a un aumento degli arrivi dall’estero del 50 per cento su base annua.
L’arringa di Cofrancesco in favore dell’italianità ha dalla sua parte molte buone ragioni. Anche se il nazionalismo esasperato ha prodotto molte tragedie, all’uomo della strada non basta essere cittadino del mondo, perché «ha bisogno anche della terra che lo limita, lo identifica, lo racchiude nelle frontiere segnate da monti, fiumi, laghi». E tuttavia, proprio per salvaguardare fiumi, laghi e ghiacciai minacciati dal cambiamento climatico, non basta agire a livello di singoli Stati e neppure di Unione Europea.
Cofrancesco sembra apprezzare le critiche rivolte da destra, per esempio da Francesco Giubilei, all’«ambientalismo globalista», ma che il riscaldamento dell’atmosfera sia una minaccia di portata planetaria è sostenuto non solo da Greta Thunberg, bensì dalla schiacciante maggioranza degli scienziati. La politica oggi vive principalmente nella dimensione nazionale: non si vede però come il problema ambientale possa essere gestito senza estenderne il raggio.
Antonio Carioti Corriere della Sera 9 gennaio 2024
Autore Dino Cofrancesco
Editore La vela
Anno 2023
Pag. 215
Prezzo € 18,00