Danilo Taino Corriere della Sera dell’11 gennaio
Nelle ultime ore, la vicenda dei marò italiani accusati dell’omicidio di due pescatori indiani e trattenuti a New Delhi ha cambiato di qualità. Indiscrezioni in arrivo dal governo di New Delhi indicano che i militari potrebbero essere imputati e giudicati sulla base di una legge che prevede la pena capitale. Ciò non è solo inaccettabile per ragioni umanitarie e perché la nostra Costituzione esclude la pena di morte per qualsiasi reato: è anche il segno della politicizzazione che la vicenda ha ormai preso nel mezzo della campagna per le elezioni federali indiane che si terranno tra aprile e maggio. A questo punto, la questione principale non riguarda la ricostruzione dei fatti di cui sono accusati Salvatore Girone e Massimiliano Latorre: sarà un tribunale a farla. In questione è la possibilità che i due soldati abbiano un processo giusto.
Al proposito, il governo italiano fa bene ad avere dei dubbi e a esprimersi in toni duri nei confronti di Delhi, come ha fatto ieri. L’India è in piena campagna elettorale, in un clima di nazionalismo crescente nel quale nessun partito vuole rischiare di mostrarsi debole con gli stranieri. Il leader dell’opposizione Narendra Modi è pronto ad attaccare ogni apertura verso i due italiani. Il partito del Congresso, al governo, non vuole sembrare meno intransigente, anche perché la sua presidente, Sonia Gandhi, teme di essere considerata anti-indiana sulla base della sua origine italiana. Il risultato è che i due marò rischiano di rimanere ostaggio della propaganda e delle manovre elettorali. Se poi il prossimo primo ministro dovesse risultare Modi, nazionalista e non testato sul piano internazionale, c’è il rischio che la vicenda torni al punto zero, riconsiderata con tempi ancora più lunghi e in forme impreviste.
Il governo italiano, le forze politiche e le organizzazioni della società a questo punto devono essere unite, per fare in modo che il processo sia protetto da interferenze politiche. Sono passati quasi due anni dal quel 15 febbraio 2012 in cui Celestine Valentine e Ajesh Binki furono uccisi. Altrettanti dal successivo 18 febbraio, quando Girone e Latorre furono arrestati. E un anno è trascorso da quando la Corte Suprema indiana ha deciso di affidare a un tribunale speciale il giudizio. Ciò nonostante, nessun passo avanti è stato fatto, i capi d’imputazione non sono nemmeno stati avanzati. E ora si sollevano rumori di pena capitale.
Si tratta di proteggere i due militari italiani, di affermare le regole del diritto internazionale e di difendere la reputazione di diplomazia pacifica del Paese: per questo, l’Italia deve essere pronta a percorrere ogni strada. Anche quella, se l’imputazione dei due marò avvenisse sulla base della legge che prevede la pena di morte, di internazionalizzare la vicenda, cioè di rivolgersi a un tribunale sovranazionale e rifiutare il giudizio di una magistratura che non si sta dimostrando in grado di condurre in porto un processo in modi e tempi accettabili.