Perché «Andrea il Moro» che morì per l’ Italia merita di entrare nei libri di storia
Gian Antonio Stella Corriere della Sera 22/02/12
«Non ci sono italiani negri», urlavano i tifosi razzisti contro Mario Balotelli. In realtà sono millenni che, a fasi alterne, ci mischiamo. Basti ricordare, tra i tanti, il caso di San Benedetto il Moro, che era siciliano di San Fratello (il paese originario di Bettino Craxi e di Al Pacino), veniva da una famiglia di schiavi portati in Sicilia secoli prima dagli arabi, si fece frate verso la metà del 1500, morì nel 1589 e fu acclamato patrono dalla città di Palermo nel 1703, assai prima che Pio VII lo canonizzasse ufficialmente nel 1807.
Ci fu anche chi morì per fare l’ Italia.
Si chiamava Andrea Aguyar, era nato da una famiglia di schiavi dalle parti di Montevideo, era stato al fianco di Garibaldi in Uruguay e al suo rientro in Italia aveva seguito il condottiero nizzardo. Un disegno di George Housman Thomas per The Illustrated London News, lo raffigura dietro l’ eroe dei due mondi mentre questi stava parlando con Nino Bixio. Sullo stesso quotidiano londinese, viene descritto come «un ragazzo minuto, vestito con un cappotto aperto rosso e uno sgargiante fazzoletto di seta legato attorno al collo che copriva le spalle». Di lui, dice Wikipedia citando fonti varie, scrissero «anche altri volontari stranieri giunti per combattere con Garibaldi, come lo svizzero von Hofstetter o il pittore olandese Jan Koelman», secondo il quale era «un Ercole di color ebano». Combattente coraggioso e straordinario domatore di cavalli (era lui, col suo lazo, a recuperare quelli sbandati dopo le battaglie), la leggenda dice che in almeno un paio di occasioni salvò la vita al condottiero guadagnandone non solo la stima ma l’ affetto. Morì il 30 giugno 1849, difendendo la Repubblica romana, colpito dalle schegge di una granata francese vicino alla basilica di Santa Maria in Trastevere. Dicono le agiografie che, prima di esalare l’ ultimo respiro a Santa Maria della Scala, adibita a ospedale, mormorò: «Lunga vita alle Repubbliche di America e Roma!». Eppure il suo busto non c’ è, tra gli 84 eroi del Gianicolo tra i quali ci sono quattro dei tanti stranieri che combatterono per l’ Unità: l’ inglese John Peard, il finlandese Herman Lijkanen, l’ ungherese Istvàn Türr e il bulgaro Petko Voivoda. Né, forse, sarebbe sopravvissuto al fascismo e alla dottrina della razza. Unico riconoscimento, fino a qualche giorno fa, una scalinata tra Trastevere e Monteverde intestata ad «Andrea il Moro». Un nome anonimo, che dice e non dice. E che infine sarà cambiato, grazie a una decisione del consiglio comunale di Roma nata da una mozione del democratico Paolo Masini. E così finalmente, un secolo e mezzo dopo, Andrea Aguyar tornerà in possesso del suo nome. E chissà che anche qualche libro di storia cominci a parlare di lui… Dio sa quanto i nostri scolari ne abbiano bisogno