Gerolamo Induno La partenza dei coscritti nel 1866 1878
Risorgimento italiano: prende le mosse dal 1815 il superamento della frammentazione campanilistica del Bel Paese e si forma l’idea di nazione come spazio civile e non solo culturale
Angelo Varni Il Domenicale del Sole 24 ore 26 marzo 2023
Certo il turbinio del ventennio napoleonico, a cavallo tra ’700 e ’800, molto aveva contribuito a squarciare la cappa di arretratezza gravante, sia pure in forme diverse e con qualche bagliore di innovazione, sull’intera penisola. Parole, concetti, principi nuovi vi erano penetrati.
Costituzione, libertà, sovranità del cittadino coi suoi diritti e doveri, repubblica, uguaglianza di fronte alla legge, laicità di uno Stato sottratto all’arbitrio dell’assolutismo e delle cerchie nobiliari e feudali: questi, e tanto d’altro, i valori, del resto, tradotti in concreti effetti istituzionali, politici, di rapporti sociali, di intraprese economiche, con i quali d’improvviso trovarono a misurarsi quelle generazioni sbalzate per impulso invincibile delle baionette napoleoniche dalle avvizzite consapevolezze di un mondo che sapeva ancora molto di medioevo ad una modernità fino ad allora intravista solo dai ristretti circoli dell’intellettualità illuminata settecentesca, impossibilitata poi a perseguirla davvero nella concretezza del reale.
Ed anche, senza dubbio, il richiamo a un sentimento di patria, di nazione, di italianità che non fosse più solo quell’antica preziosissima comunità culturale della tradizione letteraria, da Dante a Petrarca, al Rinascimento; bensì partecipazione di popolo a un progetto unitario, che vide sventolare i primi tricolori, costruire Stati col nome di Italia, pur con la pesante contraddizione della sudditanza alla “grande nazione” francese; che, ancora, animò il generoso proclama murattiano del 1815 agli “Italiani” e che indusse gli stessi occupanti austriaci di quell’anno di chiusura dell’esperienza napoleonica ad avanzare nelle terre di Romagna richiamandosi subdolamente a una loro pretesa difesa di italianità.
Quanto di più lontano, però, dalla risistemazione della penisola certificata dal Congresso di Vienna, con una cesura rispetto all’esperienza appena trascorsa, che non fu solo di strutture materiali, ma pure di totale forzata ritessitura degli orditi dipanati lungo la straordinaria cavalcata imposta dal giovane generale corso fino all’Impero e all’irrimediabile Waterloo.
E da qui, da questi anni di profonda rimeditazione per l’intera società del nostro Paese della propria stessa scala di valori, di progetti, di costruzione di futuro, si avvia la ricostruzione della vicenda risorgimentale ora effettuata da Roberto Balzani, nel saggio Genio ed accidentalità di una nazione (1815-1849) di apertura del volume a due voci Risorgimento: costituzione e indipendenza nazionale; l’altra quella di Carlo M. Fiorentino Percorsi per l’Unità (1849-1866).
Una riflessione dell’autore davvero esemplare per la capacità di ricollegare la linearità della narrazione post-risorgimentale che abbiamo tutti appreso fin dai banchi della scuola elementare, con i suoi ben noti eventi canonici (primi moti carbonari, rivolte del ’31, e poi Mazzini, Giovane Italia, i martiri, Gioberti, Pio IX, Carlo Alberto, prima guerra d’indipendenza, Cavour, il ’48, Repubblica Romana, e così via), ad approfondimenti interpretativi che ne colgono un’inedita complessità ricca di variabili anche contraddittorie, che si collocano lungo i crinali spesso decisivi delle relazioni internazionali, delle atmosfere culturali, dei processi economici, del succedersi generazionale, delle condizioni sociali, tali da consentire davvero di ripercorrere quegli anni con la sensazione di essere guidati verso un’accresciuta consapevolezza di quanto accaduto, senza limitarne il percorso di maturazione alla meta “risorgimentale”, ma anzi arricchendolo di nuove ragioni e di nuove interpretazioni.
Per di più sapendo osservare – come fa Balzani – l’intrecciarsi degli eventi individuandovi a pieno titolo fattori di trasformazione meglio leggibili con l’occhio di un oggi ancora più che mai in essi coinvolto a distanza di due secoli: dalla mondializzazione al ruolo della comunicazione, dallo sviluppo tecnologico alla massificazione della politica, dall’aggregazione sociale allo stesso diffondersi delle epidemie, dai fenomeni migratori alle battaglie di solidarietà umanitaria, fino all’inserimento in una sorta di spazio “occidentale”, liberale e democratico, aperto alle intraprese e alla dialettica delle idee.
Si dipana in tal modo un cammino che porta il Paese a via via superare la frammentazione campanilistica di medievale ricordo, l’unico riferimento culturale rimasto alle pur immutabili classi dirigenti dopo – secondo la suggestiva immagine di Balzani– «l’esplosione della supernova napoleonica» con le sue sparse ricadute di “frammenti”, quali furono i sommovimenti carbonari e le turbolenze territoriali siciliane o romagnole dei decenni Venti e Trenta.
I messaggi rivoluzionari della Grecia, poi di Parigi, del Belgio, della Polonia, di là dagli esiti specifici, fecero intendere che “risorgere” fosse possibile, che si poteva cessare di vivere in un eterno presente e costruire un futuro affidato alle giovani generazioni. E fu Mazzini con le sue parole d’ordine a fare della nazione uno spazio civile e non solo culturale.
Su tutte, prevalente, comunque, l’indipendenza dallo straniero, la libertà di decidere da sé e per sé. Il ’48 “primavera dei popoli”, si chiuse con le tragedie del ’49, ma che aprirono una nuova stagione, laica, piemontese e cavouriana, quella ben spiegata dal successivo saggio di Fiorentino Percorsi per l’Unità (1849-1866); quella della seconda durissima restaurazione a Napoli come a Roma, nei Ducati come nel Lombardo-Veneto e persino a Firenze.
Restava, dunque, è ben noto, solo il Regno Sardo a mantenere costituzione e cittadinanza rappresentativa, sotto la guida ispirata di Cavour, che l’autore segue con lucida attenzione nelle sue delicate relazioni interne e internazionali fino alla guerra del ’59 e alla delusione di Villafranca, mentre le popolazioni dell’Italia centrale reclamarono l’annessione al Regno Sabaudo.
I Mille e il conseguente allargamento del nascente Stato unitario al Sud, sancirono l’irreversibile processo di consolidamento unitario, che la guerra del ’66 completò a est, mentre irrisolta restava la questione della Roma pontificia e, soprattutto, di come trascinare il Paese verso un’equilibrata modernizzazione economica, non meno che culturale e civile.